Bisogna risalire indietro nel tempo per ritrovare un’assemblea di Telecom Italia così elettrica come quella che si preannuncia per domani. I riflettori si accenderanno sulla difficile navigazione del maggior gruppo italiano di telecomunicazioni tra gli scogli della recessione, della concorrenza spesso sleale degli Over the Top e delle eredità del passato. Ma è del tutto evidente che a scaldare le menti e i cuori degli azionisti saranno soprattutto i cinesi e il progetto di Hutchison Whampoa di diventare azionista di riferimento di Telecom senza Opa ma attraverso l’integrazione di 3HG e conseguenti concambio e conguaglio. Grandi e piccoli soci stanno già facendo i loro conti e valutando le convenienze di un deal che presenta facce diverse ai loro occhi. Gli spagnoli di Telefonica, unico vero partner industriale almeno sulla carta, sono i più diffidenti e non vorrebbero lasciare il campo ai concorrenti cinesi. I grandi soci finanziari (da Intesa Sanpaolo, che è la più possibilista, a Mediobanca e Generali) non vedono invece l’ora di uscire da un investimento che ha riservato loro più dolori che gioie solo che il concambio sia plausibile. Infine i piccoli azionisti: temono di restare a bocca asciutta per l’esclusione in partenza dell’Opa.
Ma un’assemblea come quella di Telecom e soprattutto un progetto di scalata dall’estero come quello del gruppo del magnate di Hong Kong Li Ka-Shing – che conosce il presidente esecutivo di Telecom, Franco Bernabè, da più di quindici anni – non è affare che riguarda solo gli azionisti. Non solo perché, per quanto ammaccata, Telecom Italia resta uno dei pochi grandi gruppi di un capitalismo italiano afflitto da sempre da nanismo imprenditoriale. Ma perché Telecom è proprietaria e gestore di un’infrastruttura – come la rete fissa della telefonia – che è da sempre considerata strategica e come tale addirittura protetta dalla golden share. Proprio su questo punto e soprattutto in vista della formazione di un nuovo governo sarà bene però non andare fuori tema e attrezzarsi per difendere con intelligenza i veri interessi nazionali, sapendo che non tutti sono strategici.
In buona sostanza: oggi Telecom Italia è ancora strategica o no? Merita o no una levata di scudi del patriottismo economico? Bisogna distinguere. Di interesse nazionale sono quegli asset che, nelle condizioni date, presentano due caratteristiche inconfondibili: concorrono in maniera rilevante allo sviluppo economico e alla formazione del Pil e non sono replicabili. Da questo punto di vista la rete fissa di Telecom è e resta, nella attuali condizioni tecnologiche e di mercato, certamente strategica e merita di essere protetta e di rimanere saldamente in mani italiane nel rispetto delle regole europee.
Ma del tutto diverso è il discorso sui servizi che transitano sulla rete e che Telecom offre in concorrenza con altri operatori: questi sono certamente importanti ma, in un mercato ormai liberalizzato, non solo sono ampiamente replicabili ma non possono più essere considerati strategici. Nulla di male, dunque, se la parte di Telecom che gestisce o vende servizi di telecomunicazione finisse nelle mani di gruppi stranieri : oggi si parla dei cinesi, ma non è affatto detto che l’egiziano Sawiris (ex Wind) non torni alla carica oppure che sia il messicano Slim a rifarsi vivo.
Differente è il discorso della rete che, non essendo replicabile e investendo interessi nazionali sensibili, non più finire sotto altri cieli e deve restare un presidio italiano. Come? Lo scorporo della rete da Telecom e la discesa in campo di un soggetto istituzionale come la Cassa depositi e prestiti, rafforzata da un vertice competente come quello che proprio domani verrà rinnovato nelle persone del presidente Franco Bassanini e dell’ad Gorno Tempini, è la pista giusta ed è qui che il nuovo governo dovrà fare la sua parte.
Ben venga dunque il rinnovato interesse degli investitori stranieri, del mercato e delle istituzioni per Telecom Italia ma attenzione a non fare miopi barricate provinciali e inutili battaglie di retroguardia come qualche voce sindacale ma anche politica non manca mai di minacciare.