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FOCUS BNL – Vecchi e nuovi protagonisti nel manifatturiero mondiale

La testa della classifica mondiale nella produzione manifatturiera si gioca ormai dal 2007 tra Cina e Stati Uniti – In Italia nel 2011 il valore aggiunto prodotto dal settore manifatturiero è risultato pari a 225,5 miliardi di euro, il 16,7% dell’intera produzione dell’area euro.

FOCUS BNL – Vecchi e nuovi protagonisti nel manifatturiero mondiale

A lungo relegato al ruolo di settore in declino, tipico di una fase di sviluppo intermedia e quindi più adatto alle economie dei paesi emergenti e in via di sviluppo, il manifatturiero viene oggi visto quasi ovunque come la chiave di crescita grazie alla sua capacità di creare posti di lavoro e attirare investimenti in ricerca e sviluppo.

La testa della classifica mondiale nella produzione manifatturiera si gioca ormai dal 2007 tra Cina e Stati Uniti. Nel 2011 (ultimo anno disponibile) la Cina occupava la prima posizione, con una quota di mercato del 21,7%, seguita dagli Stati Uniti che con il 14,5% hanno ceduto quasi quattro punti percentuali rispetto al 2007 e oltre dieci rispetto all’inizio degli anni Duemila. L’Italia compare insieme all’India in settima posizione (era quarta nel 2007), con una quota del 3,3%.

Il calo del peso del manifatturiero ha accomunato gran parte dei paesi sviluppati, ma il fenomeno è risultato evidente soprattutto negli Stati Uniti. Il paese, che produceva il 40% dei manufatti mondiali all’indomani della II guerra mondiale, ha visto la sua quota di mercato gradualmente erosa prima dalla concorrenza europea e giapponese, e poi da Corea del Sud, Taiwan e Cina. Tuttavia molte sono le analisi che indicano entro pochi anni una nuova stagione per il comparto americano che potrebbe addirittura tornare a competere con la Cina.

In Italia nel 2011 il valore aggiunto prodotto dal settore manifatturiero è risultato pari a 225,5 miliardi di euro, il 16,7% dell’intera produzione dell’area euro. Nel nostro paese al calo della quota sulla produzione mondiale ha corrisposto una riduzione del peso del settore sia in termini di valore aggiunto realizzato sul totale economia sia in termini di addetti. Oggi il comparto rappresenta il 15,5% del valore aggiunto complessivo (era il 20,1% nel 2000) una percentuale che per la prima volta dall’inizio degli anni Duemila è inferiore alla media dell’area euro. La quota di addetti sul totale è scesa al 17,8%.

Il manifatturiero italiano si caratterizza ancora per un livello di produttività ampiamente superiore rispetto a quello degli altri settori. Secondo i dati Istat, il valore aggiunto per addetto nel 2010 (ultimo dato disponibile) era pari a 51mila euro, contro i 33mila delle costruzioni e i 38mila dei servizi.

La difficile ripresa dell’economia reale nei paesi sviluppati e la pesante eredità che la grande recessione ha lasciato sul mercato del lavoro mondiale hanno riproposto con forza il comparto manifatturiero come motore di sviluppo. A lungo relegato al ruolo di settore in declino, tipico di una fase di sviluppo intermedia e quindi più adatto alle economie di paesi emergenti, il manifatturiero viene oggi visto quasi ovunque come la chiave di crescita grazie alla sua capacità di creare posti di lavoro e attirare investimenti in ricerca e sviluppo.

Il dibattito sul tema è vivace soprattutto negli Stati Uniti, dove una parte importante della recente campagna elettorale si è giocata sulla proposta di riportare in patria molte produzioni delocalizzate all’estero per dare il via a un vero e proprio rinascimento manifatturiero. Ma il rilancio del settore è sull’agenda di molti altri paesi, a cominciare dall’Italia – dove si discute dell’opportunità di riportarne il peso sul totale dell’economia nazionale oltre la soglia del 20% del valore aggiunto complessivo – e in Cina, dove il vertiginoso aumento dei costi di produzione comincia a frenare il settore e rischia di comprometterne il primato mondiale.

La testa della classifica mondiale nella produzione manifatturiera si gioca ormai dal 2007 tra Cina e Stati Uniti. Nel 2011 (ultimo anno disponibile) la Cina occupava la prima posizione, con una quota di mercato del 21,7%, in notevole crescita dal 14% del
2007 e dall’8,3% del 2000. In seconda posizione gli Stati Uniti che con il 14,5% cedono quasi quattro punti percentuali rispetto al 2007 e oltre dieci rispetto dall’inizio degli anni Duemila. In terza posizione compare il Giappone, con una quota del 9,4% seguito dalla Germania con il 6,3% (un punto percentuale in meno rispetto al 2007). L’Italia compare in settima posizione, con una quota del 3,3%, perdendo tre posizioni rispetto al 2007 e, in termini di quota di mercato, 1,2 punti dal 2007 e 0,7 dal 2000.

L’aspetto più evidente, nella graduatoria dei primi venti paesi per produzione manifatturiera (espressa in valori correnti e pertanto soggetta a movimenti relativi dei prezzi e a oscillazioni dei cambi) è il notevole guadagno di peso degli emergenti. Solo tre paesi avanzati (Giappone, Corea del Sud e Australia) hanno saputo reggere l’urto consolidando le rispettive posizioni. Insieme alla Germania, si tratta di paesi che hanno avuto una visione di sostegno del comparto più costante nel tempo. Dal 2007 al 2011 l’India ha scavalcato Francia e Regno Unito, raggiungendo l’Italia in settima posizione, il Brasile ha guadagnato quattro posizioni raggiungendo il sesto posto, mentre la Russia scavalcando Spagna e Regno Unito nel 2011 ha occupato la decima posizione. Tra i primi dieci produttori di manufatti la quota di mercato dei BRIC nei quattro anni tra il 2007 e il 2011 è passata dal 21,6% al 30,8%, mentre quella dei paesi avanzati è scesa dal 47,5 al 40,4%.

Il calo del peso del manifatturiero ha accomunato gran parte dei paesi sviluppati nella seconda metà del secolo scorso, ma il fenomeno è risultato evidente soprattutto negli Stati Uniti. Il paese, che produceva il 40% dei manufatti mondiali all’indomani della II guerra mondiale, ha visto la sua quota di mercato gradualmente erosa prima dalla concorrenza europea e, soprattutto, giapponese,1 e poi, a causa del processo di delocalizzazione, da Corea del Sud, Taiwan e Cina. Oggi l’output manifatturiero americano è pari a 2,5 volte quello di inizio anni Settanta (espresso in valori costanti), anche se il settore rispetto a quella data occupa il 33% di addetti in meno. Tuttavia molte sono le analisi che indicano entro pochi anni una nuova stagione di ripresa per il comparto americano, che potrebbe addirittura tornare a competere con la Cina.

Secondo stime recenti, nell’arco di cinque anni il costo di produzione di molti manufatti nelle città cinesi della costa risulterà solo del 10-15% inferiore che in alcuni stati degli USA; una volta considerate anche le difficoltà di trasporto e stoccaggio, il Sud Carolina, l’Alabama e il Tennessee risulterebbero siti più convenienti per la localizzazione di nuove imprese manifatturiere.2 In Cina d’altro canto la progressione dei salari nel corso degli ultimi anni è stata notevole: dal 2000 al 2005 la paga media è cresciuta del 10% l’anno, e del 19% l’anno nel quinquennio successivo. In alcuni settori come l’automobilistico e l’elettronica nelle aree a maggiore industrializzazione il processo di chiusura del gap con l’occidente procede a passo ancora più spedito: la retribuzione complessiva di un operaio cinese specializzato nel delta dello Yangtze (che include anche la provincia Shangai) nei prossimi 4 anni dovrebbe arrivare a 6,3 dollari l’ora (era 72 centesimi nel 2000) contro i 15,81 dollari l’ora di un omologo americano degli stati del Sud. All’aumento dei salari non ha corrisposto un analogo incremento della produttività, che pure è cresciuta del 10% circa negli ultimi dieci anni (nei prossimi anni ci si aspetta una crescita intorno all’8% annuo). Il salario orario cinese corretto per la produttività nel 2015, nel delta dello Yangtze dovrebbe arrivare a 15,03 dollari l’ora, contro i 24,81 dollari del Sud Carolina. Se si tiene conto che il costo del lavoro rappresenta nel manifatturiero una porzione variabile tra il 7 e il 25% dei costi complessivi, e che in Cina anche gli altri costi sono in aumento (terra ed energia soprattutto), è facile ipotizzare che nei prossimi anni gli statunitensi valuteranno con maggiore attenzione la possibilità di aprire nuovi impianti nei confini nazionali accrescendo la loro quota sulla produzione mondiale.

I paesi europei e l’Italia

Trai primi dieci produttori al mondo di manufatti compaiono solo tre paesi europei: Germania, Italia e Francia, tutti con quote di mercato e posizioni in discesa rispetto al 2007. I tre paesi rappresentano insieme circa il 69% della produzione manifatturiera dell’area euro. Il primato spetta di gran lunga alla Germania, che nel 2011 ha realizzato beni per 524 miliardi in euro correnti, coprendo da sola il 39% della produzione dell’intera area dell’euro, seguono a distanza l’Italia, con un valore aggiunto prodotto di 225,5 miliardi e una quota del 16,7% e la Francia, con 180,7 miliardi di euro e una quota del 13,4%.

In Germania il peso del settore manifatturiero è consistente anche rispetto al totale economia, ed è rimasto piuttosto stabile nel tempo nonostante la forte flessione del 2009 (interamente recuperata nel biennio successivo) intorno al 22,5%. In Francia la quota sul totale economia è ferma al 10%, circa 5 punti percentuali in meno dell’inizio degli anni Duemila, mentre in Spagna il comparto in dodici anni ha ceduto 3,4 punti percentuali di peso arrivando a coprire nel 2012 il 13,5% del valore aggiunto. Minore risulta la perdita di peso del manifatturiero greco (oggi al 9,6%), che era esiguo già nel 2000 (10,9%). Tra i paesi dell’Europa dell’Est il comparto manifatturiero ha un peso rilevante soprattutto in Romania: 24,7% del valore aggiunto nel 2011 (ultimo dato disponibile), un valore che risulta in crescita dall’indomani della crisi avviata nel 2007.

In Italia al calo della quota sulla produzione mondiale ha corrisposto una contrazione del settore anche in termini di valore aggiunto realizzato sul totale economia. Dal 2000 al terzo trimestre del 2012 il settore ha perso 4,6 punti percentuali, e oggi copre il 15,5% del valore aggiunto complessivo, una percentuale che per la prima volta dall’inizio degli anni Duemila è inferiore, anche se di poco, alla media dell’area euro (pari al 15,9%). Il calo è maturato in modo piuttosto omogeneo nel corso degli anni, ma ha subito una forte accelerazione nel 2009, quando in un solo anno la quota è scesa del 10%.

Alla discesa in termini di valore aggiunto ha corrisposto un calo meno pronunciato in termini di addetti: secondo i dati Eurostat nel 2012, la percentuale di addetti nel comparto sul totale economia è risultata pari al 17,8% (era pari al 21,2% nel 2000), il valore più alto tra i principali paesi europei (in Germania l’analogo rapporto è del 17,5%, mentre in Francia è del 10,7%).
Il settore in Italia è composto da 427mila imprese circa (dato al 2010, ultimo disponibile di fonte Istat), e impiega 4 milioni di addetti. Nonostante le difficoltà attraversate a partire dal 2007, il manifatturiero italiano si caratterizza ancora per un livello di
produttività ampiamente superiore rispetto a quello degli altri settori. Sempre secondo i dati Istat, il valore aggiunto per addetto nel 2010 era pari a 51mila euro, contro i 33mila delle costruzioni e i 38mila dei servizi. Il dato è frutto di un andamento estremamente differenziato tra i vari settori, con un picco di 137mila euro nel caso della farmaceutica e valori elevati anche in settori più legati alla tradizione del made in Italy come la meccanica o la carta (61mila circa). Alla maggiore produttività corrisponde una maggiore compenso per gli addetti: in Italia la retribuzione lorda per dipendente nel comparto risultava (sempre nel 2010) pari a 27mila euro (con valori più elevati nei settori a maggiore produttività), contro i 23mila dei servizi.

Tra le ragioni a favore di un possibile rinascimento del manifatturiero vi è inoltre la maggiore propensione all’innovazione e agli investimenti in R&S che farebbe da volano al resto dell’economia. Nel corso del 2010 le imprese manifatturiere italiane con più di
10 addetti hanno investito in innovazioni circa 17,7 miliardi di euro, contro poco meno di 9 miliardi delle imprese attive nel comparto dei servizi con la stessa dimensione. La speranza che una ripresa del manifatturiero stimoli una strutturale ripresa
dell’economia italiana ed europea è per ora frustrata dalla cattiva performance del settore in quasi tutti i paesi. Nel corso del 2012 l’indice della produzione manifatturiera a valori costanti in Italia ha registrato tutte variazioni negative. Quella di novembre
(ultimo dato disponibile) è la quindicesima variazione tendenziale consecutiva con il segno meno. Il settore è oggi ben lontano dall’aver recuperato sia i valori pre-crisi, sia soprattutto i valori di inizio anni Duemila. In Spagna novembre ha segnato la
diciottesima variazione negativa consecutiva, mentre in Francia i mesi consecutivi con il segno meno si fermano a dodici.

A differenza degli altri principali paesi europei in Germania il comparto ha da tempo recuperato i livelli pre-crisi. Tuttavia da aprile 2012 ha intrapreso un sentiero discendente e quello di novembre è il quinto calo tendenziale. Un periodo così lungo di flessione nel paese non si registrava dalla recessione del 2009.

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