Non si può più parlare di meritocrazia in Italia senza evocare Roger Abravanel, il guru della consulenza aziendale (una vita in McKinsey) che ne ha fatto una bandiera oltre che la materia di tre saggi di grande successo. Ma la lotta per la meritocrazia è una lotta dura e difficile. Gli ostacoli sono ancora tanti. Cambierà qualcosa con le imminenti elezioni? Lo abbiamo chiesto a lui. Ecco l’intervista che Roger Abravanel ha concesso a FIRSTonline
FIRSTonline – Ingegner Abravanel, con i suoi saggi Lei sta conducendo da anni un’impegnativa battaglia civile e culturale per riportare alla ribalta la meritocrazia anche in Italia e farne il volano della modernizzazione del Paese: nelle piattaforme elettorali presentate dalle diverse forze politiche c’è qualche novità e qualche segnale di speranza in questa direzione?
ABRAVANEL – Un Ministro di un governo italiano di qualche anno fa voleva fare una legge sulla meritocrazia e non riuscì nel suo intento. Giustamente, perché la meritocrazia è un sistema di valori che nasce grazie a miriadi di policies e non si può imporre per legge. Non sono troppo convinto che nelle piattaforme elettorali di oggi ci sia tanta meritocrazia. In Monti e Bersani vedo un sistema di valori basato su quel rispetto della rule of law e della concorrenza che sono la essenza della meritocrazia, ma ho visto gravi difficoltà nella attuazione. Nel resto francamente vedo poca meritocrazia in chi propone di penalizzare i ricchi che magari lo sono diventati grazie la loro merito o di chi propone di non rispettare le regole di bilancio dello Stato.
FIRSTonline – Chi sono i principali nemici della meritocrazia in Italia?
ABRAVANEL – Possiamo fare un elenco dei demeriti? Per rispondere a questa domanda bisogna chiarire una volta per tutte cosa è la meritocrazia il cui significato oggi in Italia non è compreso dal 90 percento degli italiani perché si confonde con la guerra alle “raccomandazioni” che di per sé non sono una cosa negativa se si raccomanda qualcuno che si conosce bene , per una occupazione (o studi) nota. E questa segnalazione si fa a qualcuno che non si conosce. In Italia avviene il contrario (si raccomanda qualcuno che non si conosce per un mestiere che non si conosce, a qualcuno che si conosce molto bene e che ci deve un favore) perché manca la cultura della competizione (soprattutto nel settore pubblico) e del rispetto delle regole nel settore privato. Se una azienda può vincere un appalto aggirando la competizione perché corrompe qualcuno oppure fa il nero e può fare prezzi più bassi non ha bisogno di giovani eccellenti per essere competitiva e quindi le migliori aziende non crescono e il Pil stagna e il rapporto debito/Pil peggiora. Il nemico della meritocrazia in Italia negli ultimi 30 anni in Italia è stata l’alleanza tra Capitalismo all’italiana, i sindacati e la politica che hanno permesso il proliferare di un sistema di imprese piccole, sommerse, non competitive, anche grazie a regole del lavoro che hanno creato un apartheid a bassa produttività. Eppoi hanno distrutto il nostro sistema educativo che è la leva essenziale della meritocrazia.
FIRSTonline – C’è chi obietta che non si può fare una vera battaglia per la meritocrazia se prima non si cancellano le diseguaglianze: ma meritocrazia e lotta alle diseguaglianze sono davvero alternative?
ABRAVANEL – No, come ho spiegato in un recente articolo. La nostra sinistra che per anni ha ricercato la solidarietà e corresponsabile assieme alla destra della nostra spaventosa ineguaglianza sociale. Se il diritto allo studio sponsorizza università scadenti sotto case e borse di studio a mediocri figli di evasori , la meritocrazia non nasce. Se le imprese non possono premiare chi è bravo e si impegna e allontanare chi lavora male, l’attuale esercito di discriminati dall’apartheid del lavoro (precari e dipendenti di piccole aziende) crescerà e i “diritti” diverranno il privilegio di pochi. Se si condanna l’evasione fiscale dei “ricchi” e si giustifica quella degli artigiani e delle piccole imprese si decreta la morte della competitività delle imprese.
FIRSTonline – Come Lei ha scritto più volte, la scuola è il campo centrale per combattere il conservatorismo di destra e di sinistra e per premiare il merito, sia degli studenti che dei docenti. Quali sono le prime cose da fare nella prossima legislatura per accrescere la meritocrazia nella scuola?
ABRAVANEL – Primo: fare un dibattito serio sulla situazione della scuola italiana, perché gli italiani (fonte Ocse) sono i più contenti della propria scuola, mentre i Pisa dicono il contrario e le università italiane veleggiano al fondo delle classifiche mondiali. Secondo rendere subito trasparenti risultati dei test Invalsi per fare conoscere la qualità dell’insegnamento delle varie scuole grazie ai risultati degli studenti. Terzo avviare un processo serio di valutazione delle scuole e di responsabilizzazione del corpo degli insegnanti. Quarto fare funzionare una volta per tutte la agenzia di valutazione delle università per allocare i fondi pubblici in modo meritocratico e mettere in minoranza i docenti nei consigli di amministrazione delle università.
FIRSTonline – Al di là della scuola, quali sono i campi nei quali condurre prioritariamente la battaglia per la meritocrazia?
ABRAVANEL – L’obbiettivo non è fare nascere la meritocrazia , ma fare crescere la economia. Meritocrazia, regole e crescita sono tre concetti legati in modo strettissimo nelle società veramente liberali: meritocrazia vuole dire concorrenza tra individui e imprese in un mercato veramente libero che non significa senza regole, ma con regole giuste che promuovono l’efficienza e la crescita. Ho spiegato tutto ciò (e anche suggerimenti concreti per cambiare) nella mia trilogia di saggi sul merito “Meritocrazia”, “Regole” e “Italia cresci o esci!” (i cui ricavi verso in beneficenza).
FIRSTonline – In finanza e negli affari che significa oggi premiare la meritocrazia?
ABRAVANEL – Rispettare la regole. Se abbiamo il record dei colpi di frusta le nostre tariffe RCAuto continueranno ad essere le più care d’Europa. Se le imprese fanno il nero, le Luxottica, Campari, Brembo e via dicendo saranno sempre più rare e non creeremo i milioni di posti di lavoro di cui abbiamo bisogno.