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FOCUS BNL – Spread, rimuovere i rischi di stop-and-go

FOCUS BNL – Le analisi di Bankitalia indicano che un aumento dello spread di 100 pb per la scadenza decennale e di 50 punti base per quella annuale riduce la crescita complessivamente di circa un punto percentuale in tre anni – Rimuovere i rischi di “stop-and-go”, di passi indietro rispetto ai progressi acquisiti, rappresenta anche la sfida per l’Italia.

FOCUS BNL – Spread, rimuovere i rischi di stop-and-go

Oltre ottantacinque miliardi di euro. È la spesa per interessi sul debito pubblico sostenuta dall’Italia nel corso del 2012. E’ un costo “enorme”, come ha autorevolmente ricordato il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica. E’ un onere i cui movimenti si correlano all’andamento di medio periodo dello “spread”. Quando lo spread tra Btp e Bund stabilmente aumenta, il costo complessivo del debito pubblico pure sale. E viceversa. Gli effetti sono, ovviamente, ritardati, in quanto l’aumento dello spread di oggi interessa solo le nuove emissioni di debito e non l’intero “stock”. Ma, con il passare del tempo, il conto arriva in cassa. Lo spread sale o scende per ragioni varie, interne ed esterne ai confini nazionali. Le origini delle variazioni dello spread possono essere materia di dibattiti accademici come di confronti politici. Le conseguenze di una variazione dello spread consolidata nel tempo rappresentano comunque un dato oggettivo sempre rilevante per i riflessi sulla situazione e le prospettive del nostro tessuto economico.

Le analisi della Banca d’Italia indicano che un aumento dello spread di 100 punti base per la scadenza decennale e di 50 punti base per quella annuale riduce la crescita complessivamente di circa un punto percentuale in tre anni, e che aumenta l’onere medio del debito di 0,1 punti nel primo anno, di 0,2 punti nel secondo e di 0,3 punti nel terzo. In più, a parità di altre condizioni, “un incremento di 100 punti base del differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi a dieci anni tende a riflettersi in un aumento di circa 50 punti base dei tassi medi sui prestiti alle imprese dopo un trimestre, per intero nell’arco di un anno”. In altre parole, duecento punti in più di spread Btp-Bund vogliono dire entro un anno un aumento di duecento centesimi dei tassi pagati dalle imprese alle banche, una riduzione di due decimi di punto della crescita del PIL e un aggravio di circa quattro miliardi dell’onere del debito della Repubblica italiana. Nel 2012 la media annua dello spread tra Btp e Bund si è attestata a 390 centesimi.

Se nella media del 2013 il divario di rendimento tra i nostri titoli e quelli tedeschi scendesse di 200 centesimi, da 390 a 190, i risparmi per il costo del debito pubblico potrebbero essere significativi come pure gli effetti positivi sulla variazione del PIL. Certo, lo spread a 190 non assicurerebbe la ripresa, ma contribuirebbe a ridurre la misura dell’ulteriore calo del prodotto atteso per l’anno che abbiamo appena iniziato. Una condizione necessaria, anche se non sufficiente per rendere meno distante la ripartenza della crescita. Il problema è che ridurre lo spread dipende sempre da più di un soggetto. Oggi dipende dal contesto extra-europeo, dall’Europa, e dall’Italia. Sul contesto extra-europeo, il nuovo anno si è aperto con il segnale confortante di una prima risposta al problema del “fiscal cliff” americano.

Per l’Europa la sfida è quella di rispettare le scadenze fissate dal piano predisposto dalla Commissione Europea per l’incontro di fine 2012 del Consiglio Europeo. Lavorare, in primo luogo, alla realizzazione di tutti i meccanismi di sorveglianza delle politiche fiscali previsti dal Six-Pack e dare vita all’unione bancaria attraverso uno strumento unificato di vigilanza. Realizzare questa agenda senza ripetere i costosi “stop-and-go” del passato. Dare al cammino di completamento dell’unione un passo costante. Per riuscirci probabilmente occorrerà ottenere un “commitment”, un coinvolgimento di tipo politico più forte dei governi nazionali e, quindi, del Consiglio Europeo.

Rimuovere i rischi di “stop-and-go”, di passi indietro rispetto ai progressi acquisiti, rappresenta anche la sfida per l’Italia sulla strada di una ricongiunzione tra risanamento e ripresa. Evitare, come purtroppo successo in passato, di invertire il considerevole miglioramento ottenuto sul fronte del saldo primario dei conti pubblici. Operare, sul fronte della ripresa, scelte che riannodino competitività e coesione, investimenti e lavoro. Se ben letti, i segnali che vengono dall’export, dall’internazionalizzazione delle imprese e dalla stessa competitività non sono tutti scoraggianti. Da qui si può ripartire.

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