I Paesi del Sud del Mediterraneo (Med10) presentano grosse diversità dal punto di vista economico e lo studio “Sud a geometria variabile” pubblicato dall’ISPI li distingue in quattro gruppi. Nel primo, i Paesi esportatori netti di petrolio (Algeria e Libia) con una forte concentrazione delle esportazioni, dove ben il 90% è rappresentato da prodotti energetici e derivati. I Paesi del Nord Africa (Marocco, Tunisia, Egitto), caratterizzati da uno sviluppo più diversificato e da profonde relazioni commerciali con la UE, principale partner di interscambio e fonte del 50% degli investimenti produttivi. I Paesi con economia diversificata del Medio Oriente (Siria, Giordania, Libano), con un settore terziario più sviluppato e forti relazioni economiche anche con Paesi extra UE, in particolare con le economie del Golfo. Infine, due Paesi (Israele e Turchia), dalle caratteristiche specifiche. Nel primo caso, un’economia molto avanzata e con il settore dell’alta tecnologia altamente sviluppato; un Paese, nel secondo caso, candidato all’ingresso nella UE e ponte tra Europa e Medio Oriente, dove le maggiori opportunità di investimento sono di tipo verticale nei settori di meccanica ed energia. L’intera area dei Med10 ha registrato nel decennio 1999-2008 una crescita economica sostenuta, con incremento del PIL del 4,2% medio annuo, superiore di circa due punti al tasso di crescita dell’Area Euro, ma ancora inferiore rispetto alla media delle economie cosiddette emergenti. Questa caratteristica è risultata in media più contenuta per i Paesi esportatori netti di petrolio e più accentuato per le economie del Nord Africa e del Medio Oriente con una maggiore diversificazione produttiva. Più incisivi risultano infatti essere il grado di stabilità economica, l’apertura al commercio e agli investimenti esteri, la qualità di infrastrutture ed istruzione.
L’impatto della protesta sulla performance economica è stato differente nei tre gruppi interessati. I Paesi che ne sono stati investiti direttamente hanno attraversato una fase recessiva nel 2011. La caduta del PIL è stata particolarmente acuta in Libia (-27,9%), Siria (-6% sulla base di stime del tutto preliminari), Tunisia (-1,8%) ed Egitto (-0,8%). In questo gruppo di Paesi si è avuta dal lato dell’offerta una caduta sensibile dell’attività di estrazione (Libia), manifatturiera (Tunisia, Egitto) ma anche dei servizi, in particolare nel comparto turistico, con un calo del 70% in Siria e oltre il 30% in Tunisia ed Egitto. Dal lato della domanda hanno contribuito negativamente alla formazione del PIL gli investimenti e le esportazioni nette, sulle quali ha pesato il grado di esposizione alla congiuntura internazionale non favorevole. Mentre i consumi privati, sostenuti da politiche fiscali a supporto del reddito delle famiglie e dei sussidi, hanno dato, in presenza di tassi di disoccupazione in aumento, un contributo positivo al sostentamento della domanda e del mercato interno. I Paesi solo indirettamente investiti hanno visto un rallentamento dell’economia (è il caso di Algeria e Libano, con un aumento del PIL rispettivamente del 2,4% e dell’1,5%) o addirittura, per il concorso di fattori favorevoli, un’accelerazione della crescita (è il caso della Giordania e del Marocco). I Paesi non investiti dai rivolgimenti politici, pur sensibili al peggioramento della congiuntura estera, hanno mantenuto tassi di crescita elevati (+4,6% Israele e +8,5% in Turchia).
Dal punto di vista finanziario si sono avute considerevoli ripercussioni, in primo luogo sui conti pubblici. Il sostegno dei redditi delle famiglie a causa dell’aumento dei prezzi su beni alimentari ed energia ha comportato, senza il contro-bilanciamento di profonde riforme strutturali mirate ad una strategia industriale e commerciale efficiente, un ampliamento del deficit pubblico. Inoltre, deterioramento dei saldi di conto corrente e calo dei flussi di investimenti produttivi in entrata hanno comportato, in contesti di cambi fissi o a fluttuazione controllata, dove Israele rappresenta l’unica eccezione nella regione, una contrazione delle riserve valutarie. Con il peggioramento degli indicatori di vulnerabilità finanziaria si è così ampliato lo spread dei credit default swap sui titoli sovrani, mentre le agenzie di rating hanno rivisto al ribasso le proprie previsioni. Emerge allora come la crescita tendenziale di medio-lungo periodo sia stata meno accentuata e sostenibile nei Paesi caratterizzati da una minore qualità ed efficienza economica delle istituzioni. Ecco allora che un basso grado di sviluppo dell’intermediazione finanziaria, con il conseguente difficile accesso delle PMI ai mercati del credito, ed un’inadeguata politica allocativa tra i ceti sociali, dove ad elevata disuguaglianza corrisponde altrettanto rischio politico, sono certamente tra i fattori determinanti che alimentano l’incertezza sulla maggior parte dei Paesi Med10.