Chissà se dopo il vertice convocato per la giornata di oggi da Silvio Berlusconi (ma visti i precedenti c’è sempre un rischio rinvio) si comincerà a capire qual è la strategia del Pdl per le prossime elezioni politiche. Naturalmente, ammesso e non concesso, che ci sia ancora il Pdl. Perché sinora l’assoluto indecisionismo dell’ex presidente del Consiglio si è tradotto, in termini di sondaggi, in un partito che è al di sotto della quota 15% e, in termini politici, in un esclusivo gioco d’interdizione. Al limite dell’ostruzionismo. Il tutto mentre il Pd e il centro-sinistra hanno il vento in poppa delle primarie e, al centro, Casini e Montezemolo si preparano a presentare la propria alleanza in una manifestazione pubblica prevista per metà dicembre.
Gioco d’interdizione e ostruzionismo, dicevamo, vale a dire l’esatto contrario di quel gioco d’attacco con il quale il Cavaliere era solito presentarsi ai cimenti elettorali. E’ infatti una manovra d’interdizione chiedere l’election day in concomitanza delle elezioni regionali del Lazio, già fissate per il 10 e 11 febbraio. Per far svolgere le elezioni politiche in quella data si dovrebbero sciogliere le Camere. E questa prerogativa appartiene esclusivamente al Capo dello Stato, il quale peraltro ha più volte detto che prima del voto ci dovrà essere la nuova legge elettorale. Eppure Berlusconi dice ai quattro venti che farà cadere il governo Monti se non avrà garanzie sull’election day.
Anche sulla legge elettorale Berlusconi ha sinora bloccato qualunque apertura del suo partito per modificare il Porcellum, facendo in questo modo anche un grosso piacere al Pd, che stando ai sondaggi trarrebbe enorme vantaggio da quelle vecchie e infelici procedure. Ma su una cosa il Cavaliere sembra più che mai deciso a resistere: i parlamentari del centro-destra dovrà indicarli lui e non lasciarli al ripristino delle preferenze, che non piacciono neanche a sinistra. E’ probabile che su questo punto le divisioni in quel che resta del Pdl siano talmente marcate da portare all’implosione e alla scissione.
Scissione che a Berlusconi piacerebbe, anche se preferisce chiamarla “spacchettamento”, vale a dire un divorzio concordato che non escluda successive alleanze. Insomma, il marasma sembra assoluto e con poche vie d’uscita. Il tutto mentre è ancora aperta la disputa su primarie (quando e come?) o candidatura e ritorno in campo di Berlusconi. Ipotesi questa ormai apertamente contestata dai più all’interno del Pdl. Motivo per il quale il ritorno di Berlusconi sembra sempre più legato all’ipotesi scissione. Vale a dire il ritorno ad una sorta di Forza Italia mignon che dovrebbe confrontarsi con il centro-sinistra e con il centro di Casini e Montezemolo, con il movimento di Grillo, ma, a questo punto, anche con quel che resta del Pdl, vale a dire gli ex An e non solo.
Non è un caso che, se si escludono le spericolate amazzoni, anche nella cerchia degli amici ci sia chi sconsiglia al Cavaliere il ritorno in campo. Anche se molti che si ritengono ben informati dicono che Berlusconi sia pronto a tornare e di voler fare la campagna elettorale su una piattaforma fortemente anti-Monti, al punto che sarebbe pronto ad aprire la crisi. La quale sarebbe un passo obbligato per cercare di ottenere l’election day. Una strategia che sembra presagire, più che una rivincita, un vero e proprio suicidio politico.