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Un decreto per salvare il destino industriale dell’Ilva e separarlo da quello giudiziario dei soci

Basta confusioni di ruolo: salvare la realtà industriale di Taranto spetta al Governo e alle amministrazioni pubbliche mentre la magistratura deve occuparsi solo ed esclusivamente delle violazioni delle norme ambientali e di sicurezza e dei reati eventualmente connessi – Il piano di bonifica presentato dal governo Monti è una sfida difficile ma è l’unica via

Un decreto per salvare il destino industriale dell’Ilva e separarlo da quello giudiziario dei soci

C’è una sola cosa che il governo può (e deve) fare per risolvere il problema dell’Ilva di Taranto ed è separare, con un apposito decreto legge, il destino industriale dell’Ilva da quello giudiziario che riguarda alcuni dei suoi azionisti e manager. Una cosa è l’Ilva come gruppo industriale, che produce e vende acciaio in tutto il mondo, che alimenta una filiera industriale vitale per il paese e che dà lavoro a migliaia di persone e altra cosa sono le eventuali responsabilità penali degli azionisti e dei manager.

Dell’Ilva , come gruppo industriale ,si devono occupare il governo e le amministrazioni nazionali ed internazionali competenti, mentre la Magistratura inquirente deve occuparsi, solo ed esclusivamente, delle violazioni delle norme ambientali e di sicurezza e dei reati ad esse eventualmente connessi.

Il Governo, tramite il Ministro Clini, si è assunto la responsabilità di definire un programma di bonifica ,di salvaguardia ambientale e di sicurezza estremamente preciso e rigoroso. Un programma assai oneroso sia per l’impresa privata che per lo Stato. Un programma che anticipa di alcuni anni l’entrata in vigore in Italia di nuove e più stringenti normative ambientali che nel resto d’Europa diverranno obbligatorie soltanto nel 2017.

Non è un percorso facile per nessuno! l’Ilva potrà continuare a produrre (e a vendere) acciaio soltanto se rispetterà scrupolosamente le norme e le tempistiche definite nell’AIA (autorizzazione integrata ambientale) mentre il Governo, gli Enti Locali e le Amministrazioni competenti dovranno dimostrare di sapere esercitare in modo efficace l’azione di controllo che ad esse compete. E’ una sfida difficile per l’Italia ma è l’unico modo che abbiamo per bonificare Taranto senza metterla in ginocchio e senza ferire a morte l’industria italiana dell’acciaio.

Per parte sua la Magistratura inquirente deve portare avanti la propria indagine conoscitiva acquisendo tutti gli elementi di prova di cui necessita per suffragare la propria ipotesi di reato e per rinviare a giudizio ,se gli elementi saranno sufficienti per farlo, non l’Ilva ma i dirigenti che si fossero effettivamente resi responsabili di specifici reati. Se il Tribunale darà ragione ai PM allora saranno condannati, in caso contrario saranno assolti.

Il Pm, dott. Sebastio, sembra invece ignorare questa elementare distinzione e agisce non contro i dirigenti ma contro l’Ilva in quanto tale. All’origine del reato di disastro ambientale, associazione a delinquere, attentato alla sicurezza e quant’altro non ci sono (o non ci sono soltanto) specifici comportamenti individuali, ma , per la Procura, c’è l’area a caldo dello stabilimento. E’ l’area a caldo che ha avvelenato la città ed è questa che va chiusa subito se si vuole che il reato cessi. Non a caso il dott. Sebastio ha ordinato il sequestro dei coils, frutto della sia pur parziale (e autorizzata) produzione di questi ultimi mesi.

Si tratta infatti di corpi del reato che, in quanto tali, non possono essere venduti ma vanno sequestrati e stoccati . Si tratta di una evidente assurdità e anche di una inaccettabile anticipazione della pena. Non spetta infatti al Pm dire se l’area a caldo sia o no all’origine di tutti i mali di Taranto . Questo lo potrà decidere soltanto un Tribunale al termine di un ampio dibattimento e di un approfondito confronto fra le diverse analisi dell’accusa e della difesa.

In ogni caso , anche se si dovesse arrivare ad un processo, è difficile immaginare che un Tribunale possa ordinare la chiusura di un impianto per il quale sono in corso opere di bonifica e di messa in sicurezza definite a livello nazionale ed Europeo e che vedono impegnato il governo. Potrà, tutt’al più, condannare i dirigenti se li troverà colpevoli ,ma non certo interrompere la bonifica e l’attività produttiva.

Bisogna spezzare il corto circuito istituzionale che si è creato per responsabilità della Procura di Taranto e dare a Cesare (il governo) ciò che è di Cesare (la bonifica) e a Dio (la Magistratura) ciò che è di Dio (perseguire le colpe). Se dovesse perdurare la confusione dei ruoli l’esito sarebbe un conflitto istituzionale e sociale di enormi proporzioni. Meglio fermarsi finché si è in tempo.

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