Ha vinto Obama. E allora, cosa significa per gli Usa? Mi limiterò a tre aspetti: la politica estera, le politiche economiche interne e la ri-regolamentazione della finanza.
In termini di politica estera, la conferma di Obama evita i rischi di un Romney probabilmente più isolazionista e meno adatto a gestire i complessi equilibri globali. Riguardo alle aree di attenzione, riflettendo i nuovi assetti geopolitici che si stanno affermando, l’amministrazione Obama I aveva già spostato il focus dall’Atlantico al Pacifico. A prescindere dalle vivaci contrapposizioni pre-elettorali, che dovrebbero come al solito rientrare dopo il voto, gli Usa di Obama II potrebbero continuare una politica di appeasement con la Cina ma, al tempo stesso, rafforzando la loro posizione nell’Asia orientale e sud-orientale e nell’Oceania in funzione di contenimento dell’espandersi dell’influenza cinese.
Nel Medio Oriente-Nord Africa, area instabile per i vari trapassi di regime e crisi nazionali, dovrebbe essere sventato il rischio che un eccessivo appiattimento di Romney su eventuali posizioni oltranziste di Israele potesse portare ad azioni destabilizzanti nei confronti dell’Iran. In termini di attenzione verso l’Europa, oggi appannata dalla propria crisi, la vittoria di Obama significa comunque un minor disinteresse rispetto a quello che si poteva prevedere per il rivale. Intendiamoci, i problemi europei ce li dovremo risolvere da soli, ma un Presidente meno distante dovrebbe giovare.
Per le politiche economiche interne, la conferma di Obama significa più attenzione alle fasce meno avvantaggiate, in modo da attenuare le profonde disuguaglianze, sia per il mantenimento dell’assicurazione sanitaria sia perché si scartano eventuali nuove riduzioni della tassazione sui più abbienti. Altro aspetto degno di nota dovrebbe essere la continuazione del sostegno alla green economy, che poteva non accadere con Romney presidente, da cui potrebbero derivare benefici non solo per la sostenibilità ma anche per promuovere l’innovazione in questo settore ad alta potenzialità.
La differenza forse più pronunciata è però sul terzo aspetto, quello della finanza. Si è avuta la netta impressione che Obama I non abbia spinto abbastanza per conseguire una ri-regolamentazione sufficientemente incisiva, necessaria a riconquistare la stabilità e limitare la deriva speculativa della finanza. Per lui parevano esserci due principali remore. In primis, nel mandato iniziale puntava molto sulla riforma sanitaria e non poteva permettersi di esasperare anche il fronte della riforma finanziaria. Inoltre, anche se a più riprese – anche andando a ricordare a Wall Street l’anniversario del fallimento di Lehman Brothers – ha mostrato la propensione a farlo, non ha calcato la mano sull’inasprimento delle regole per la finanza, temendo di avere una forte opposizione alla riconferma. Perciò, svincolato da ambedue quelle remore, Obama II potrà fare di più, cosa che sarebbe stato meno probabile facesse Romney.
Si tratta di un punto centrale perché la volontà da parte del massimo leader americano di superare la fase del capitalismo finanziario, nata oltre oceano, pone le basi per un rafforzamento della capacità di guida globale. Ci sarebbe da dormire poco tranquilli se il mondo si dovesse continuare a sentire stretto tra la Scilla dell’instabile capitalismo finanziario angloamericano e la Cariddi del capitalismo di stato della Cina e degli altri grandi paesi emergenti. Se Obama II saprà spostare la barra da Wall Street a Main Street non ci guadagnerà solo l’americano medio, ma il cittadino medio dei paesi avanzati.
Ma ci sono tre caveat. Primo, la conferma di Obama non è ancora certa e, quindi, tutto quanto precede potrebbe rivelarsi fatuo. Inoltre, pur in caso di conferma, bisogna anche tener conto della coabitazione indotta dal fatto che la maggioranza del Congresso sarà repubblicana e quindi i margini di manovra di Obama II saranno limitati. Da ultimo, anche Obama II dovrà fare i conti con il crescente debito pubblico e solo una solida ripresa economica gli consentirebbe di sfuggire alle forche caudine.