Entrambi i candidati alla Casa Bianca hanno tentato di convincere gli elettori sulla validità delle proprie ricette per accelerare la crescita e creare nuovi posti di lavoro.
L’economia, dopo la recessione terminata nel 2009, viaggia a ritmi di crescita non usuali per il colosso americano e la disoccupazione resta insostenibilmente alta, vicina all’8%. Ventitre milioni di americani non hanno un’occupazione: si tratta in gran parte di giovani sotto i trent’anni, che spesso riescono a trovare solamente posti part-time.
Nonostante la gravità della situazione, le ricette dei due candidati sembrano quantomai indefinite e poco attendibili. Da parte repubblicana, il refrain sull’autogoverno e la liberazione dell’innata intraprendenza americana convergono su proposte di forte riduzione della spesa pubblica, mentre i progressiti non rinunciano a spingere sul tasto redistributivo.
In ambito lavorativo, riguadagnare alla manifattura la centralità di un tempo è il vero goal da centrare. Le politiche fiscali ed energetiche giocano in questo senso un ruolo primario, ma gli scenari dipinti dai due candidati sono molto distanti: Obama ha promesso la creazione di un milione di nuovi posti nel manifatturiero entro il 2016, più altri 600.000 nello shale gas (il gas naturale estratto dal sottosuolo). Anche l’istruzione gioca un ruolo fondamentale, e l’inquilino della Casa Bianca propone l’assunzione di centomila insegnanti in discipline scientifiche. Quanto a infrastrutture, porti, ferrovie e autostrade saranno oggetto di rinnovamento e ammodernamento, ma non si parla di un vero e proprio New Deal, bensì di interventi mirati, finanziati con il risparmio sulle spese militari.
Il piano di Romney è molto più indefinito: dodici milioni di nuovi posti di lavoro entro la fine del mandato. In media, come ha calcolato Reuters, se ne creerebbero 250.000 ogni mese, ben al di sopra di quanto l’economia abbia fatto sino ad ora. Basti pensare che a Ottobre, nel settore non agricolo, sono state aperte 171.000 nuove buste paga, un dato più alto delle aspettative di circa 50 mila unità.
Quanto alla politica monetaria, le elezioni decideranno – indirettamente – quali saranno le scelte future della Federal Reserve. Romney non ha fatto mistero di voler cambiare guida della Banca Centrale, “colpevole” di aver messo in campo una politica “quasi fiscale” intervenendo in modo massiccio e selettivo nell’acquisto di obbligazioni e mortgage-backed-securities per dar fiato al settore immobiliare. Per bernanke, comunque, quello in corso sarà l’ultimo mandato: il Governatore ha già dichiarato di non essere interessato a un secondo incarico, ma il punto non è tanto chi guiderà la Federal Reserve del futuro, quanto la linea politica che il board sceglierà di seguire, sotto l’influenza invisibile della Casa Bianca.
Il vero mostro che il presidente uscente dovrà affrontare, tuttavia, sarà il deficit. Obama ha proposto di tagliarlo di 4.000 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, revocando i tagli alle tasse dei contribuenti più abbienti, residuo dell’era Bush. Metà dei fondi provenienti dal ritorno dei militari dal Medioriente verranno devoluti all’abbattimento del deficit (l’altra metà, come detto, finanzierà le infrastrutture).
Il piano di Romney per abbassare le tasse, invece, punta su drastici tagli alla spesa pubblica (in particolare welfare e sanità), per riportare il bilancio federale al di sotto del 20% del Pil (attualmente è al 24%).