L’ultimo duello per la conquista della Casa Bianca è sull’economia. E non poteva essere diversamente in una crisi finanziaria che è la prima davvero globale e che tormenta il mondo intero da cinque anni. “La percentuale delle persone senza lavoro – attacca il candidato repubblicano Mitt Romney – è oggi superiore a quando il presidente Obama è entrato in carica”. “Le nostre imprese – ribatte il presidente democratico Barack Obama – hanno assunto a ottobre più che in tutti gli otto mesi precedenti”. Dove va l’America, chi vincerà le elezioni presidenziali del prossimo 6 novembre e quali saranno gli effetti per l’Italia e per l’Europa? FIRSTonline l’ha chiesto a uno dei più noti economisti italiani e buon conoscitore degli Stati Uniti, Marcello Messori, ordinario di economia politica che da quest’anno insegna alla Luiss di Roma.
FIRSTonline – Professor Messori, lei ha studiato sia al Mit che a Stanford in California, è stato allievo di Stiglitz e conosce bene l’America: chi vincerà le elezioni di martedì?
MESSORI – Non sono un politologo né un sondaggista e, quindi, la mia previsione non è nulla di più che un auspicio: verrà confermato Obama perché, nonostante le critiche che gli sono piovute addosso, durante la sua prima presidenza è riuscito a gestire un periodo difficilissimo specialmente per l’economia; e lo ha fatto pur dovendo confrontarsi con un Congresso che gli è stato, spesso, pregiudizievolmente contrario.
FIRSTonline – Che cosa l’ha impressionata di più delle diverse proposte di politica economica messe in campo dai due sfidanti?
MESSORI – Mi ha colpito la strategia elettorale dello sfidante, Mitt Romney, che ha avanzato proposte di policy fra loro contraddittorie, senza preoccuparsi che fossero incompatibili e – quindi – impossibili da tradurre in pratica. La crisi finanziaria e ‘reale’ ha provato l’inconsistenza della teoria del ‘gocciolamento’, ossia della tesi secondo cui detassare i ricchi giova anche alla crescita economica, al reddito dei più poveri e agli equilibri del bilancio pubblico. Eppure Romney ha annunciato che abbatterà il pesante debito pubblico statunitense senza introdurre nuove tasse e senza ledere gli interessi dei redditi medio-bassi. Proposte di questo genere sono una spia dell’assenza di contenuti solidi in tutta l’impostazione di politica economica del candidato repubblicano.
FIRSTonline – E di Obama che cosa l’ha colpita sul terreno economico?
MESSORI – Più ancora di quanto ha detto (o non ha detto) in campagna elettorale, le opposte critiche che gli sono state rivolte da noi europei e dagli esponenti di Wall Street per il suo operato presidenziale in campo finanziario. L’Europa ha criticato Obama perché, nel dopo crisi, le sue iniziative di regolamentazione finanziaria hanno oscillato fra un “tocco leggero” e l’introduzione di un corpo normativo così complesso da risultare in pratica privo di impatto. Eppure Wall Street e gran parte della comunità degli affari, che nell’autunno del 2008 non avevano assunto atteggiamenti preclusivi rispetto alla candidatura di Obama, hanno mostrato di giudicare tali iniziative regolamentari alla stregua di un’aggressione verso le loro attività e hanno usato toni accesi contro la rielezione dell’attuale Presidente.
FIRSTonline – Ma lei come spiega il fatto che, pur essendo gli apologeti del mercato senza regole e pur essendo perciò i principali responsabili politici della grande crisi che ancora viviamo, i repubblicani siano tornati in corsa e abbiamo fino all’ultimo la speranza di riconquistare la Casa Bianca? Come ragionano gli americani quando vanno a votare?
MESSORI – Vi è una chiave più ‘razionale’ e una più ‘pessimistica’ per rispondere a questa domanda. Nel primo caso, si può pensare che l’elettorato statunitense sappia distinguere fra l’ideologia di una campagna presidenziale e un’effettiva capacità di governo. Anche molti democratici riconoscono che, come governatore del Massachusetts, Romney non si è schiacciato su posizioni liberiste alla Reagan o alla Bush jr. ma ha preferito una linea pragmatica; e questo suo pragmatismo può essere seducente in confronto all’eccesso di ‘analiticità’ di Obama. Nel secondo caso, si dovrebbe invece ammettere che gli elettori si sono già dimenticati delle cause della crisi, della sua gravità, dei conseguenti rischi di deflagrazione corsi dal loro sistema economico e degli efficaci strumenti messi in campo dall’attuale Amministrazione. I cittadini statunitensi si limitano a registrare che la ripresa dell’economia, pur se in atto, è troppo fragile per assicurare soddisfacenti livelli di occupazione. Un tale atteggiamento dell’elettorato, che tende a punire chi governa, è deleterio perché accentua un vizio già radicato nella politica: l’ottica di breve termine.
FIRSTonline – Dal punto di vista economico le elezioni di martedì che cosa cambieranno per l’America, per l’Europa e per il resto del mondo?
MESSORI – Pur dimostrandosi più dinamica dell’Unione europea, l’economia statunitense si trova in una fase molto complessa. L’impatto positivo delle innovazioni organizzative, innescate dall’ICT soprattutto nel settore dei servizi, si è forse esaurito alla metà del primo decennio del Duemila. Il tentativo di sostenere la crescita mediante l’indebitamento delle famiglie e del settore pubblico ha aggravato gli squilibri del sistema anche prima della crisi. Nel dopo crisi, gli USA non potranno riprendere a vivere al di sopra delle loro possibilità. Vinca Obama o vinca Romney, il problema centrale non cambierà: come crescere senza un serbatoio di innovazioni tecniche e in presenza di tre vincoli molto severi. Il problema è che le ricette di policy di Romney non sono adeguate per sostenere o accompagnare la crescita economica statunitense. E quest’ultima è una componente essenziale per la ripresa europea e giapponese e per lo sviluppo del resto del mondo.
FIRSTonline – Quali sono i tre vincoli che sono destinati a pesare sull’economia americana?
MESSORI – I responsabili della politica economica statunitense dovranno evitare che le famiglie tornino a indebitarsi prima di aver risanato i loro bilanci, dovranno ridurre il debito pubblico (a livello sia federale che statale) prima che la situazione diventi esplosiva, dovranno mettere sotto controllo il disavanzo delle loro partite correnti anche per riequilibrare i rapporti con la Cina. Crescere rispettando questi tre vincoli non sarà facile.
FIRSTonline – E come primo test il nuovo Presidente si troverà ad affrontare il fiscal cliff?
MESSORI – Esattamente. Proprio in relazione alle criticità appena segnalate, il nuovo Presidente dovrà gestire il problema del fiscal cliff, individuando un equilibrio tra riduzione del deficit pubblico e necessità di riprodurre i sostegni di policy a una crescita economica ancora fragile. Una possibile via d’uscita sarà di combinare la continuazione di una politica monetaria espansiva con l’avvio di una politica fiscale di segno gradualmente restrittivo.
FIRSTonline – Sfida ancora più difficile con l’imminente addio di Bernanke alla Fed e ai suoi Quantitative Easing?
MESSORI – Dipenderà da chi sarà il successore di Bernanke alla guida della Fed dopo il 2014; e, al riguardo, sarà molto rilevante il risultato elettorale. Se vincerà Obama, anche dopo quella data la politica della Fed si manterrà nel solco tracciato da Bernanke (con o senza un suo ulteriore mandato). Se invece dovesse vincere Romney, è probabile che la politica monetaria tornerà in un solco più tradizionale a prescindere dalla congiuntura economica; il che renderebbe ancora più difficile combinare i tre vincoli dell’economia statunitense, sopra discussi, con un sostegno alla crescita. In ogni caso, come ha assicurato Bernanke, negli Stati Uniti i tassi di interesse di policy dovrebbero restare vicini a 0 fino al 2014.
FIRSTonline – Per l Italia la posta in gioco nelle elezioni americane appare molto alta. Obama ha scommesso su Monti e su Marchionne, mentre Romney teme che gli Usa possano fare la fine dell-Italia. Che cosa cambiera’ per noi dopo il voto in America?
MESSORI – In effetti, nella visione di Obama la ripresa europea risulta fondamentale per il successo della politica economica statunitense; viceversa, tra i repubblicani tornano ad affiorare suggestioni scioccamente isolazioniste. Pertanto, al di là dell’ideologia, Unione europea e Italia hanno buone ragioni per augurarsi che Obama venga rieletto. Ciò vale, in particolare, per l’Italia. Come è noto, per vincere la sua scommessa sulla ripresa dell’industria dell’auto, Obama ha soprattutto puntato sulla Chrysler di Marchionne; almeno a parole, Romney è invece contrario a interventi di politica industriale in favore di settori tradizionali (ma a elevata occupazione) come quelli dell’auto, salvo poi accusare Marchionne di inaccettabili obiettivi di delocalizzazione. Inoltre, Romney accusa Obama di perseguire il modello europeo, caratterizzato da inefficiente statalismo e da eccessiva protezione sociale; e agita lo spettro di una conseguente deriva all’italiana. Viceversa, Obama riconosce i passi avanti compiuti dall’Unione europea e dall’Italia ma è critico verso l’ossessione rigorista della Germania. Egli punta, perciò, su Monti come lo statista europeo capace di mediare fra gli improcrastinabili obiettivi di crescita economica e il rispetto dei vincoli di rigore.