Gli ultimi dati sulla disoccupazione non agricola americana, verosimilmente, saranno oggetto di un’aspra battaglia interpretativa.
Se è vero che il tasso di disoccupazione è risalito dello 0,1%, pericolosamente vicino a quella “soglia di non ritorno” (dell’8%), oltre la quale nessun Presidente è mai stato rieletto, il dato sui nuovi lavori non lascia scampo: 171.000 nuove buste paga registrate a ottobre, circa cinquantamila in più rispetto alle attese, indicano una certa tendenza del mercato del lavoro a riprendere confidenza.
L’aumento della disoccupazione al 7,9% era comunque atteso dagli analisti, dunque rispetto alle previsioni tecniche i numeri usciti oggi rappresentano un saldo positivo. In ogni caso, a Washington, consiglieri e sherpa presidenziali hanno incassato i nuovi dati con una certa cautela, proprio perché sanno di non poterci contare troppo da un punto di vista politico.
Ma allora come si muoverà, dopo la pubblicazione odierna, la strategia comunicativa dei due presidenti? E’ presto per dirlo, ma guardando alle dichiarazioni di Romney a partire da settembre, è quasi certo che lo sfidante repubblicano cercherà di usare i numeri strumentalmente.
In particolare, l’aumento del tasso di disoccupazione, pari allo 0,1%, è determinato dal rientro nella forza lavoro di una parte degli “sfiduciati“, ovvero quella massa di disoccupati che, da un punto di vista statistico, non venivano più conteggiati nelle statistiche sull’occupazione in quanto “non interessati” a cercare un impiego.
Ma a Settembre, il drastico calo della disoccupazione al 7,8% (dovuto secondo Romney proprio alla contrazione della forza lavoro) aveva – forse incautamente – spinto Obama a dichiarazioni troppo ottimistiche sulla ripresa. Dichiarazioni rese necessarie soprattutto dall’imminenza delle elezioni autunnali.
Romney, quindi, ha in canna un colpo facile: denunciare l’inadeguatezza di Obama in campo economico, alla luce della errata interpretazione dei dati settembrini, dimostrata dal bollettino pubblicato oggi. Nondimeno, il Presidente è tornato in testa nella media dei sondaggi. Era dal 21 ottobre che “Mitt il moderato” appariva in vantaggio sull’inquilino della Casa Bianca, mantenendo mediamente un margine di 0,6-0,9 punti sul rivale.
Ma Sandy ha cambiato le carte in regola, e un ruolo non marginale devono averlo giocato le esternazioni del sindaco di New York Michael Bloomberg (ora indipendente, ma dal passato repubblicano e democratico), ma soprattutto del Governatore conservatore del New Jersey, Chris Christie, che hanno entrambi lodato apertamente la prontezza dell’intervento e la capacità di leadership del Presidente durante le ore di tempesta. Esternazioni non gradite dall’establishment repubblicano e accolte a braccia aperte dall’apparato democratico, ancora memore di commenti non proprio lusinghieri arrivati in passato sia da Bloomberg, il quale descrisse Obama come “l’uomo più arrogante mai incontrato”, che dallo steso Christie.
Il risultato? Nella media dei sondaggi pubblicata quotidianamente da Real Clear Politics, Obama appare oggi in vantaggio di 0,3 punti (47,5 contro 47,2). Un vantaggio ancora del tutto insufficiente a rassicurare i democratici, ma significativo perché rappresenta un’inversione di tendenza piuttosto insperata.
E da un punto di vista politico la “tempesta perfetta” è capitata nel posto giusto e nel momento giusto, dal momento che gli stati della costa orientale (North Carolina, Virginia, Pennsylvania, e – nell’interno – anche l’Ohio), vedono in gioco una settantina di collegi elettorali. Guarda caso, nei sondaggi proprio settanta voti mancano a Obama per aggiudicarsi il secondo mandato (ne servono 270 per entrare alla Casa Bianca).
E proprio nell’Ohio, passata l’emergenza-Sandy, stanno andando in scena gli ultimi “blitz” che condurranno alle urne martedì prossimo. Secondo gli strateghi del partito, Romney deve aggiudicarsi almeno uno stato tra Ohio, Nevada e Wisconsin. Ma gli sherpa repubblicani puntano soprattutto sul primo, per ragioni politiche e numeriche: queste ultime contano di più, dato che lo stato porta più voti di grandi elettori (18), di quanti non ne garantiscano, messi insieme, Nevada e Wisconsin (16). Ma il candidato conservatore non può non tentare il colpaccio presso quel ceto operaio che di certo non sorride alla vulgata economica del “Grand Old Party”, da inizio mandato contrario al bailout Chrysler e al conseguente salvataggio del settore automobilistico, con il suo irrinunciabile indotto, che nell’Ohio garantisce lavoro a una persona su otto, con quasi un milione di dipendenti.