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Banche locali, il futuro si gioca sull’identità e sull’innovazione: basta clienti a mezzadria

Anche nella crisi gli impieghi delle banche locali sono cresciuti del doppio rispetto al sistema bancario ma per il futuro devono valorizzare di più la loro conoscenza diretta del territorio e della clientela e ampliare i loro servizi soprattutto in direzione della consulenza, del risparmio gestito e del private banking: basta clienti a mezzadria.

Banche locali, il futuro si gioca sull’identità e sull’innovazione: basta clienti a mezzadria

Il profilo identitario e le leve dell’innovazione. Questi anni di crisi non hanno risparmiato, né poteva essere diversamente, le banche locali evidenziandone talune criticità, peraltro note da tempo. Ad esse è stato tra l’altro dedicato il 25 settembre scorso su FIRSTonline un interessante contributo (“Banca locale o del territorio: realtà o illusione?”) di Daniele Corsini, Ceo di Cabel Holding Spa, network di banche locali, da decenni in prima linea nell’offerta di servizi in outsourcing ad alto valore aggiunto, rivolti ad una articolata platea di banche locali. Sarebbe tuttavia quantomeno ingeneroso negare il fondamentale contributo che proprio le banche locali hanno dato in questi anni di crisi alla tenuta del sistema produttivo del nostro Paese, garantendo l’accesso al credito alla miriade di PMI che rappresentano la struttura portante della nostra economia.

E non sfugga, a questo proposito, la valenza anche sociale di tale atteggiamento, del resto coerente con la matrice popolare e cooperativa della grande maggioranza delle banche locali. Nel periodo più acuto della crisi (2008 – 2011) gli impieghi delle banche minori (nella grandissima maggioranza, banche locali) sono aumentati di oltre il 20%, il doppio rispetto al resto del sistema, pur se è vero che le sofferenze delle prime hanno registrato una crescita nettamente più marcata. ’evoluzione, in qualche modo accelerata dalla crisi, del nostro sistema bancario, impone alle banche locali un’attenzione più forte al superamento di criticità comuni al resto del sistema, peraltro in gran parte originate dall’eccesso di leva finanziaria delle grandi banche e dalla scarsa qualità degli attivi di queste ultime.

Tali criticità hanno dato luogo in questi anni ad alcuni casi di crisi aziendale, anche enfatizzati in una prospettiva mediatica che, tuttavia, non hanno mai assunto caratteri sistemici, né tanto meno hanno richiesto interventi a carico dello Stato e dei contribuenti. È, tuttavia, sui grandi drivers del cambiamento che si gioca la sfida di ruolo delle banche locali. Si tratta di una sfida di importanza enorme, forse non adeguatamente valutata e compresa per i riflessi che può avere su larga parte del sistema produttivo e sullo stesso tessuto sociale del Paese.

Il miglioramento dei livelli di produttività e di efficienza tecnico-operativa anche attraverso l’automazione spinta dei processi, l’utilizzo della rete nell’offerta di servizi, l’ampliamento della loro gamma attraverso modelli di outsourcing di tipo “partecipativo”, costituiscono necessità imprescindibili per sostenere la sfida competitiva. Ma, ancora una volta, a mio avviso, è sul terreno della valorizzazione del profilo identitario e degli elementi distintivi della banca locale che si gioca la partita. Oggi è in discussione la validità di un modello distributivo basato su un’ampia e costosa rete di filali. I confronti internazionali ci dicono che la densità bancaria del nostro Paese è superiore a quella media europea.

I prezzi di cessione delle filiali sono notevolmente diminuiti negli ultimi anni e, spesso, mancano addirittura i potenziali acquirenti. Il crescente sviluppo dell’ internet banking, del resto, ha portato e sempre più porterà in futuro ad una riduzione delle operazioni di cassa. Tutto questo, però, comporta anche un cambiamento sostanziale nella qualità della relazione di clientela, che tenderà ad essere più sottile e rarefatta, mentre la concorrenza fra banche sarà sempre più focalizzata sulla leva “prezzo” con la conseguente riduzione, nel medio termine, dei margini unitari. In questo contesto, le banche locali possono giocare una carta fondamentale puntando proprio sulla centralità della relazione di clientela, non ridotta a mera interazione virtuale, ma qualificata dalla personale conoscenza del cliente, della sua storia, del contesto sociale e familiare, dei suoi bisogni effettivi.

Così che l’internet banking viene a configurarsi come una sorta di “commodity” a disposizione della clientela.Mentre è dalla capacità di ascolto, di interpretazione, di soddisfazione di esigenze complesse che si estrae valore per entrambi i soggetti della relazione: cliente e banca.Da questo punto di vista possiamo dire che la banca locale dispone di tutti i necessari prerequisiti per giocare con successo la partita. In estrema sintesi: vantaggio conoscitivo e presidio del territorio.Ciò non è tuttavia condizione sufficiente per affrontare con successo una sfida competitiva che riguarda fondamentali elementi di “qualità” nel posizionamento sul mercato e nella relazione di clientela.3Consulenza (alle famiglie e alle imprese), risparmio gestito, private banking, costituiscono una gamma di servizi ad alto valore aggiunto rispetto ai quali le banche locali presentano talvolta un ritardo rispetto al resto del sistema e che, peraltro, costituiscono proprio gli elementi portanti per qualificare e sviluppare una relazione che già poggia su solide basi di reciproca conoscenza e fiducia.Per inciso, è quasi banale rilevare come lo sviluppo di una relazione già esistente sia molto più semplice ed economico che non l’acquisizione di nuova clientela.

Troppo spesso le banche locali si accontentano, consapevoli o no, di clienti “a mezzadria”; clienti che intrattengono con la banca locale una relazione stretta, ma limitata ai servizi bancari tradizionali (pur se, magari, offerti in modo evoluto), ai prodotti di raccolta diretta e al credito. Per tutto il resto (consulenza finanziaria e gestione dei patrimoni, gestione dei rischi finanziari e di tipo assicurativo, problematiche legate ai passaggi intergenerazionali, ecc….) troppo spesso il cliente si rivolge ad altri intermediari (filiali di grandi banche, strutture di private banking, promotori finanziari), magari più orientati alla vendita che non all’ascolto e alla proposta. Con il rischio che, a lungo andare, questi intermediari riescano ad acquisire la globalità dei rapporti, sostituendosi alla banca locale anche nella fascia dei prodotti e servizi più tradizionali.

Ma quale dovrebbe essere l’approccio e il modello organizzativo più idoneo affinché la banca locale possa intercettare e soddisfare la globalità delle esigenze della clientela, configurandosi come una vera e propria “Haus Bank”? Da un lato si collocano le società-prodotto (che offrono fondi comuni, sicav, gestioni patrimoniali, fondi di private equity, prodotti assicurativi, ecc..), paragonabili alle farmacie, presso le quali la banca locale può acquistare i “principi attivi” necessari alle terapie. Dall’ altro si pone la banca locale alla quale sono richieste:

– la conoscenza approfondita di tali “principi attivi” ed i loro effetti, anche collaterali (rischi);
– la conoscenza della “storia clinica” e delle effettive esigenze del “paziente”/cliente, anche al di là di ciò che lo stesso è in grado di manifestare (a causa, ad esempio, di condizionamenti esterni, dell’abitudine a praticare l’ “automedicazione”, di una non corretta valutazione dei sintomi, ecc…);
– la conseguente formulazione della “diagnosi”;- la definizione del mix dei “principi attivi” (terapie) ed il suo monitoraggio nel tempo.

Questo modello, a mio avviso, presenta i seguenti vantaggi:

– garantisce contro qualsiasi conflitto d’interesse, tenendo distinta la funzione del farmacista/società prodotto con quella del terapeuta/banca locale;
– valorizza la capacità di relazione della banca locale ed il suo “vantaggio conoscitivo”;
– non richiede significativi investimenti fissi, e non comporta mutamenti significativi nella struttura organizzativa.

Fondamentale fattore di successo è invece rappresentato dall’attività di formazione, tesa a far evolvere le figure professionali che gestiscono direttamente la relazione di clientela. Sul piano organizzativo, in luogo dell’inserimento di strutture dedicate, appare preferibile infatti puntare su una crescita “dal basso” secondo un modello teso a creare cultura diffusa e, quindi, partecipazione e motivazione nel personale di filiale qualificando il posizionamento sul mercato dell’intera banca ed il valore, non solo economico, del rapporto fiduciario con la clientela.

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