Donna è (ancora) bello? Donna è soprattutto utile, prezioso e profittevole. Nell’Italia del 2014 che vanta la maggior presenza rosa in Parlamento e una folta schiera di ministre (l’auspicio è che sia stata premiata la competenza e non il genere…), le donne comuni combattono però ancora la battaglia della parità, e soprattutto dell’indipendenza, attraverso il lavoro.
Il nostro Paese è terribilmente indietro: contro una media Ocse del 65% in Italia il gap è di ben 15 punti (si avvicinano alla media citata Bolzano e la Toscana). E ancora lontani dal quel 60% di occupazione femminile target 2010 dell’Agenda di Lisbona. E pensare che più donne attive fuori casa rappresenterebbero una manna non solo per i conti domestici, per la demografia (nei Paesi dove più donne lavorano anche il numero di figli per famiglia è maggiore) ma anche per l’economia nazionale. Si stima infatti (fonte Ocse) che una riduzione del gap di occupazione femminile – fino al suo completo annullamento nel 2030 – possa comportare per l’Italia un maggior tasso di crescita annuale del PIL pro-capite dell’1% e un incremento del PIL del 20%.
Purtroppo l’istantanea attuale è a colori foschi, con dati che sono ancora meno confortanti se pensiamo alle diverse aree geografiche e alle fasce d’età.
Tra i neolaureati le ragazze sono il 59% ma penalizzate da una disoccupazione giovanile che supera il 40% cui si aggiunge un’offerta femminile spesso relegata in discipline e settori professionali tra i meno appealing sul mercato del lavoro. Sono ancora prevalentemente ad appannaggio delle giovani le facoltà umanistiche; invece deve farsi largo l’idea che “Science is a girls’ thing” e che non va effettuata una autodiscriminazione di genere a priori.
Del resto per le studentesse alle prese con la scelta universitaria di esempi straordinari ce ne sono parecchi. E due di loro siedono attualmente in Parlamento: Elena Cattaneo, luminare delle cellule staminali, nominata senatrice a vita a soli 50 anni nel 2013; Ilaria Capua, deputata, virologa di fama internazionale cui si deve la codifica della sequenza genetica del virus dell’aviaria, ma soprattutto una rivoluzione al livello internzionale nelle policy della sanità pubblica, avendo combattuto (con successo) per l’open access alle informazioni scientifiche. Forse poche per far sentire prepotentemente le istanze della Scienza e della Ricerca nelle nostre istituzione ma ben determinate ad aprire un varco, indicare una strada alle future generazioni. Che, ci auguriamo, possano far conto su sistemi più aperti, più flessibili come quello dello smart work (una proposta di legge ad hoc è stata presentata da tre giovani deputate, Mosca, Saltamartini, Tinagli) per meglio conciliare i tempi della famiglia e dell’attività professionale.
E per chi volesse celebrare la ricorrenza dell’8 marzo due suggerimenti, infine, in tema di frutta e fiori.
Vi ricordate le mele d’oro assegnate a manager e giovani promesse dalla Fondazione Bellisario? Bene, a Palazzo Reale a Milano, fino al 9 marzo, la mostra “Donne ad alta quota” farà rivivere le storie di queste donne (oltre 400 finora le mele assegnate).
Quest’anno si può sostituire la tradizionale mimosa con l’oleandro. Non il fiore reciso ma un libro. Alle donne “normali e silenziose” che con il loro lavoro quotidiano, e molto spesso dietro le quinte, fanno (comunque) bella l’Italia è dedicato l’ultimo libro di Nando dalla Chiesa. Arrivato in libreria al momento giusto.