Quest’anno la ricorrenza dell’8 marzo cade di venerdì. Una buona occasione per proclamare uno sciopero generale contro i femminicidi, per la parità di genere, la parità salariale, ma anche per il salario minimo o contro l’autonomia differenziata. Tante motivazioni per numerose sigle aderenti alla mobilitazioni: Flc Cgil, Slai Cobas, Adl Cobas, Cobas Usb, Cobas Sub, Osp Faisa Cisal, Usi Cit, Clap, Si Cobas, Cub Trasporti, Uitrasporti, Usi 1912, Uiltec Uil. Come si può notare, a dichiarare lo sciopero non sono soltanto – come quasi tutti i venerdì – i soliti sindacati di base. Anche alcune federazioni di categoria (scuola e trasporti) di Cgil e Uil, partecipano ad un evento che ha il sentore di una danza della pioggia, di un abuso del ricorso allo sciopero che trasforma un diritto fondamentale in una ‘’messa nera’’.
Sciopero nei servizi pubblici ma non solo
Come si vede saranno colpiti soprattutto i servizi pubblici perché – secondo i promotori della giornata di astensione dal lavoro – è doveroso che a farne le spese siano i cittadini e le famiglie. Ma c’è di più. Oggi è anche la giornata della mobilitazione femminista e transfemminista promossa dal movimento ‘’Non una di meno’’. Si svolgeranno manifestazioni cortei, sit-in e presìdi a cui da Roma a Bologna a Trieste parteciperanno anche alcune sigle sindacali come la Cgil. Per farla breve lo sciopero riguarderà – come fa notare il caravanserraglio degli organizzatori – il lavoro produttivo, compreso ovviamente il famigerato precariato a cui occorre dare visibilità.
Ma sarà anche uno sciopero dal “lavoro riproduttivo: domestico, di relazione, di cura e assistenza”. Proprio perché – sottolineano i sindacati – si tratta di ruoli da cui è difficile se non impossibile dismettere i panni; a meno che (aggiungiamo noi di non voler imitare Lisistrata di Aristofane ) non venga proposta un’alternativa che potrebbe essere presa sul serio in altre occasioni al posto del blocco delle metropolitane e dei bus. Ecco lo sciopero colorato; invece di incrociare le braccia, le lavoratrici sono invitate a indossare qualcosa di nero o fucsia per rendere visibile la propria condizione. Poi bisogna essere moderni: colpire il potere (patriarcale?) ovunque si manifesta. Non solo la tradizionale astensione dal lavoro, ma anche uno sciopero dei consumi e contro la guerra, sciopero di genere, rifiutando i ruoli imposti dagli stereotipi (in sostanza le madri sono invitate ad impedire alla bambine di pettinare le bambole, mentre ai figli maschi va sequestrato il pallone). Qualcuno, leggendo della giornata di lotta delle donne e per le donne, avrebbe potuto immaginare che tra le multiformi iniziative si fosse trovata l’occasione per qualche gesto di solidarietà per le donne di Israele massacrate dai terroristi di Hamas, di quelle tenute in ostaggio da allora e sottoposte – come risulta dalla commissione dell’Onu che ha reso noto nei giorni scorsi il suo rapporto – a ‘’violenza sessuale, mutilazione genitale, tortura sessualizzata e trattamenti inumani” tuttora in corso durante la prigionia.
Nel mare di parole che annunciano e motivano lo sciopero non vi è traccia di questi eventi, che evidentemente – a domanda, risponderebbero gli organizzatori – vengono ricompresi nel novero dei femminicidi e delle altre violenze. L’antifona si era già capita durante la manifestazione del 25 novembre. Dobbiamo pensare che il 7 ottobre gli scherani di Hamas abbiano ecceduto nel dare corso alla loro azione di lotta e guerra di resistenza? Oppure che le donne ebree continuano ad essere alla mercè dei nazisti di oggi come, nei campi di sterminio, lo furono di quelli del secolo scorso? Al processo di Norimberga un gerarca nazista si giustificò per aver sterminato gli ebrei, senza averli mai fatti torturare. Un caporione di Hamas non può neppure avvalersi di questo mostruoso pretesto. In sostanza, dobbiamo prendere atto che, per mettere insieme le organizzazioni che hanno proclamato lo sciopero, non si devono evocare i massacri del 7 ottobre; altrimenti l’intesa salterebbe. Il che getta sulla giornata di oggi un’ombra cupa di miseria morale.