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“5G senza Huawei? Cosa rischia l’Europa”: parla il Politecnico di Milano

Imagoeconomica

“Lo scontro Usa-Cina sul 5G? A rimetterci è l’Europa”. A spiegare lo stato dell’arte sulla tecnologia che ha innescato una guerra fredda internazionale e abiliterà la quarta rivoluzione industriale, quella della robotica e dell’intelligenza artificiale, è Antonio Capone, ordinario di Telecomunicazioni al Politecnico di Milano e responsabile del neonato Osservatorio 5G & Beyond. “L’Europa e l’Italia – sostiene uno dei massimi esperti del 5G in Italia – stanno perdendo tempo. Da un lato devono seguire gli Usa per motivi di alleanza politica, dall’altro invece sarebbe proprio la tecnologia dei cinesi di Huawei a dare al vecchio continente l’opportunità di affrancarsi dall’egemonia dei big americani. E’ un peccato, perché proprio in Europa è nata la rivoluzione delle tlc e sarebbe proprio il suo tessuto produttivo e sociale a giovarsene maggiormente”.

Professore, lo scontro titanico tra Usa e Cina su Huawei sembra aver trasformato il 5G da fatto industriale e tecnologico a terreno di scontro geopolitico. Che cosa sta accadendo?

“Sta accadendo che gli Stati Uniti e il mondo occidentale hanno rinunciato, dieci anni fa, a continuare ad investire in ricerca e sviluppo nelle telecomunicazioni. Ci si è affidati al successo degli over the top e il digitale è stato considerato una commodity. Gli Usa hanno anche dismesso i loro campioni nazionali delle infrastrutture, come ad esempio Lucent che è passata ai francesi di Alcatel. La Cina invece, che all’epoca aveva un gap da recuperare, ha investito tantissimo e ora con Huawei è all’avanguardia. Ora gli Usa si sono accorti dell’errore e stanno provando a recuperare, temporeggiando e tentanto di isolare Huawei”.

E l’Europa? Il Regno Unito ha annunciato che rinuncerà a completare la rete 5G entro il 2027 con Huawei, rimandando al 2028 e con costi maggiori, pur di cedere alle pressioni di Trump. Anche la Francia ha espressamente scoraggiato gli accordi con i cinesi, non concedendo agli operatori il rinnovo delle autorizzazioni.

“L’Europa si trova nel mezzo della contesa ed è quella che ha più da perdere. Da un lato è praticamente costretta ad andare dietro a Washington per vicinanza politica, ma dall’altro le converrebbe assolutamente continuare a collaborare con Huawei per le infrastrutture, che sono vantaggiose dal punto di vista tecnologico ed economico, con un ottimo rapporto qualità prezzo”.

Ma perché il 5G sarebbe così importante, per l’Italia e l’Europa, proprio nei giorni in cui si è raggiunto l’accordo sul Recovery Fund, i cui soldi saranno in parte investiti nella “trasformazione digitale”?

“Intanto per affrancarsi dall’egemonia dei big americani. Per tanti anni in Europa siamo stati solo ‘consumatori’ delle piattaforme Usa, diventando terra di profitto per le varie Google, Facebook etc, con tanto di tensioni e polemiche sulla web tax. Ma con il 5G la musica cambierà: la rete non sarà più un trasportatore di dati, ma un abilitatore di processi e servizi che rivoluzioneranno le nostre economie. Si passerà da un mercato digitale sovranazionale, dominato da entità come appunto Google, Apple, Facebook, ad un sistema diffuso di tanti piccoli data center locali, che consentiranno anche ai singoli Paesi, come l’Italia, di crescere dal punto di vista tecnologico e industriale”.

Davvero il 5G trasformerà le attività produttive? E come?

“Sì, e soprattutto in Italia, che ha un tessuto produttivo prevalentemente manifatturiero. Oltre ai vantaggi dell’automazione e dell’intelligenza artificiale, c’è un aspetto specifico che gioverà molto alle nostre Pmi: il 5G aprirà l’era delle fabbriche connesse, il che significa la possibilità di realizzare a costi contenuti le piccole serie e le produzioni personalizzate e limitate. Queste produzioni sono di solito molto costose, ma possono rappresentare il fiore all’occhiello di una produzione artigianale, quasi sartoriale, e di altissima qualità come quella made in Italy. Poi sarà completata la rivoluzione, già iniziata, degli smart connected products. Oggi la tv, l’automobile, il frigorifero, domani magari lo spazzolino, il giocattolo per i bambini. Tantissimi prodotti di uso quotidiano diventeranno nativamente connessi, cioè potranno essere aggiornati, rilevare e fornire informazioni utili per orientare le strategie produttive future, e a loro potranno essere collegati sempre più servizi attivabili con lo smartphone. Insomma i prodotti diventeranno al tempo stesso oggetti e servizi. Ma anche in ambito pubblico il 5G avrà un enorme importanza”.

In che modo?

“Della tecnologia 5G beneficerà anche il sistema dei servizi pubblici e del welfare, che peraltro è più sviluppato in Europa rispetto agli Usa, altro motivo per cui saremmo noi a perderci di più. Penso ai trasporti, con i veicoli autonomi pubblici che ridurranno drasticamente il traffico nelle grandi città, ma anche alla sicurezza e, soprattutto in questa fase di emergenza, alla sanità. Il 5G la aiuterà tantissimo, con enormi benefici per operatori e pazienti”.

E poi, a proposito di esigenze dettate dal Covid, ci sarebbero anche smart working e scuola a distanza.

“Sì, soprattutto se pensiamo alla necessità di collegamenti in streaming. Il video è uno dei punti di forza del 5G, anche se va detto che per queste attività, che si svolgono prevalentemente da casa, è più importante insistere sulla copertura delle abitazioni con la fibra ottica. Il 5G aiuta più che altro la fruizione in mobilità”.

Dietro alla scelta di alcuni Paesi di non collaborare più con Huawei ci sono solo motivi geopolitici, o anche di sicurezza della rete? Gli Usa sostengono che gli apparecchi saranno il cavallo di Troia di Pechino per spiarci.

“Tecnicamente parlando, questi timori sono legittimi. Ma è assai improbabile che un operatore come Huawei faccia questo ‘gioco sporco’, per una serie di motivi. Intanto perché gli apparati (antenne, router, etc) sono sì vulnerabili ma possono essere sottoposti ad analisi di sicurezza e la probabilità di essere scoperti sarebbe altissima, con un danno di immagine ed economico impensabile. E poi perché la Cina ha già in mano il mercato interno e quello degli emergenti, in particolare Africa e Sudamerica. Significa un bacino di 3-4 miliardi di persone: perdere l’Europa sarebbe sì un danno, ma relativo”.

In Italia cosa sta accadendo?

“Intanto, non è vero che Tim ha escluso Huawei, tout court. I cinesi sono stati esclusi solo dalla gara per la parte core, che riguarda servizi e software, ambiti in cui la concorrenza è molto più numerosa e Huawei non è particolarmente competitiva. Quindi sembra essere un’esclusione per motivi tecnici. Resta però il fatto che sulla parte più importante e costosa, quella degli apparati (parliamo, ad esempio, dell’installazione di almeno 20.000 antenne per ogni operatore), Tim ha finora collaborato con Huawei nella fase sperimentale. Ricordo che in Italia il 5G c’è già, anche se solo nelle grandi città e a livello commerciale solo con due operatori, Tim e Vodafone”.

E quando sarà disponibile in tutto il territorio nazionale?

“Secondo me al massimo entro il 2025, ma spero anche prima”.

Nonostante il caso Huawei?

“Sì, perché vanno chiarite alcune cose. Intanto, a differenza di quanto superficialmente si dice, nessuno sta ‘affidando la rete’ a Huawei. Gli operatori acquistano pezzi di infrastruttura (antenne, router, etc) e non lo fanno solo dai cinesi. Nessun operatore, né in Italia né in altri Paesi, farà mai la rete rivolgendosi ad un solo costruttore, perché è sconveniente economicamente. Ad esempio da noi Vodafone l’ha fatta metà con Nokia e metà con Huawei, Tim al 50% tra Huawei ed Ericsson, mentre Wind Tre ha addirittura acquistato da tutti e tre i produttori citati”.

A proposito di Nokia e Ericsson: gli Stati Uniti puntano fortemente, anche con investimenti diretti, a creare un campione europeo del 5G, che sia loro alleato nel contrastare Huawei. Nokia e Ericsson sono all’altezza di questa sfida?

“Intanto ricordiamo che Nokia è in parte un’azienda americana, mentre Ericsson è tutta europea. Secondo me non sono distanti anni luce dai cinesi, continuando ad investire possono recuperare terreno”.

Detto che l’Europa ha molto da perdere e la Cina meno, quale è invece la posta in gioco per Washington?

“Di prestigio, innanzitutto, per recuperare la leadership tecnologica che hanno perso a vantaggio della Cina. Molto dipenderà dalle elezioni di novembre, ma in ogni caso un po’ di gap gli Usa lo stanno già recuperando, attraverso una serie di progetti interessanti ed efficaci, basati sull’open source”.

Ultima questione: le fake news sul 5G. Anziché ridimensionarsi, sembrano prendere sempre più fiato. Qualcuno ora le collega persino al Covid mentre in Francia, alle ultime elezioni comunali, in molte città importanti hanno vinto candidati sindaci apertamente complottisti e contrari al 5G. Che aria tira?

“Andiamo con ordine. Il collegamento tra antenne 5G e diffusione del coronavirus è semplicemente assurdo, anche perché come sappiamo le onde elettromagnetiche non trasportano materia, per quanto infinitesimamente piccola possa essere, ma energia. La questione dell’impatto delle onde sulla salute ha invece un senso, e infatti viene seriamente affrontata da molto tempo. Ma anche in questo caso non c’è nessun pericolo in quanto i Paesi europei, e ancora di più l’Italia con una legge specifica ancora più stringente, hanno fissato limiti di frequenza e potenza bassissimi, molto al di sotto della soglia di pericolo. Inoltre va aggiunto che il 5G è casomai meno preoccupante di altre tecnologie, come lo stesso 4G che già copre il 99% del territorio italiano, in quanto ha una frequenza simile e una potenza persino inferiore. Infine, i limiti non si applicano al singolo sistema ma alla somma: ecco perché un operatore, se installa il 5G, dovrà di conseguenza spegnere qualcos’altro e dunque è impossibile, per legge, che l’esposizione della popolazione alle onde possa aumentare”.

Eppure anche in Italia alcuni sindaci remano contro l’installazione delle antenne, ma recentemente il Governo, attraverso il Decreto Semplificazioni, ha stoppato la possibilità di emanare provvedimenti a livello locale. Che cosa ne pensa?

“Che l’intervento del Governo, peraltro ampiamente atteso, è molto positivo. E’ importante spiegare che dal punto di vista giuridico le delibere comunali sono illegittime, ma senza l’intervento dell’Esecutivo gli operatori avrebbero dovuto impugnarle una per una, con una perdita di tempo e di denaro non indifferente. Perché i sindaci si comportano così? Semplicemente per populismo, per un piccolo tornaconto elettorale. Ma non capiscono che è proprio nei centri urbani che il 5G avrà un impatto decisivo, con le smart city”.

In realtà anche alcuni studi o presunti tali, diventati virali sui social network, mettono in dubbio quello che lei dice.

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“Alcuni studi, pochi in realtà, mettono in dubbio questa realtà, ma poi vengono puntualmente smentiti. Per quanto riguarda le campagne social, mi lasci dire che alla fine è solo un business: esistono alcuni video su YouTube, che screditano il 5G, che sono arrivati ad essere visualizzati da 3-4 milioni di utenti. Questo significa che nelle tasche dell’autore del video sono entrati 15.000-20.000 euro. Un bell’affare”.

Spontaneo o orchestrato da qualcuno?

“A volte il diffondersi di fake news non è casuale, può capitare che vengano create ad arte. Diciamo che una certa parte del mondo occidentale ha avuto paura del dominio tecnologico cinese, e forse a qualcuno fa comodo mettere in discussione e rallentare l’ascesa del 5G, per recuperare nel frattempo lo svantaggio accumulato”.

Categories: Economia e Imprese