Escludere Huawei e Zte dallo sviluppo del 5G in Italia è un’ipotesi che va valutata con attenzione allo scopo di proteggere la sicurezza nazionale. Questo il giudizio del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, presieduto da Raffaele Volpi (Lega). Il “consiglio” è stato scritto nero su bianco nella relazione sulle politiche e gli strumenti “per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica, a tutela dei cittadini, delle istituzioni, delle infrastrutture critiche e delle imprese di interesse strategico nazionale” presentata dal relatore Elio Vito (Forza Italia).
Secondo il Copasir “le preoccupazioni circa l’ingresso delle aziende cinesi nelle attività di installazione, configurazione e mantenimento delle infrastrutture delle reti 5G” sono in gran parte fondate. Il che significa che “si dovrebbe valutare anche l’ipotesi, ove necessario per tutelare la sicurezza nazionale, di escludere le predette aziende (Huawei e Zte, ndr.) dalla attività di fornitura di tecnologia per le reti 5G”.
Il motivo alla base di queste considerazioni è presto detto: “Le aziende cinesi, pur formalmente indipendenti dal potere governativo, sono tuttavia indirettamente collegate alle istituzioni del loro Paese, anche in virtù di alcune norme della legislazione interna”, sottolinea il Copasir.
A stretto giro è arrivata la reazione dell’azienda cinese che, occorre ricordarlo, da sola controlla il 30% del mercato mondiale degli apparati 5G: “Huawei ha sempre sottolineato che il dibattito sulla cybersecurity dovrebbe essere basato sui fatti e ha chiesto di dimostrare le accuse mosse all’azienda”. “Fino ad ora – continua l’azienda – non sono state fornite prove. Considerando che in 30 anni di storia dell’azienda nel settore Ict, non si sono verificati incidenti relativi alla sicurezza delle reti, Huawei crede fermamente che qualsiasi accusa contro di essa sia motivata puramente da ragioni geopolitiche“.
“Huawei è una società privata al 100% e Huawei Italia si attiene alla legge italiana. Nessuna legge cinese impone alle società private cinesi di impegnarsi in attività di cyber-spionaggio. Gli avvocati di Clifford Chance, uno studio legale globale con sede a Londra, hanno concluso che la legge cinese non conferisce a Pechino l’autorità di obbligare i fornitori di apparati di telecomunicazioni a installare backdoor o dispositivi di ascolto o ad assumere comportamenti che potrebbero compromettere la sicurezza della rete”, conclude Huawei che si dice pronta a collaborare “con tutte le entità governative e fornire tutte le garanzie necessarie per consentire agli operatori di implementare rapidamente le reti 5G”.
Il parere del Comitato per la sicurezza conferma e se possibile amplifica le preoccupazioni che nell’ultimo anno hanno spinto i due Governi che si sono succeduti alla guida del Paese a legiferare sulla materia. Nel marzo del 2019 infatti il primo Governo Conte ha esteso l’applicazione del golden power alle reti 5G. A settembre 2019 invece il Conte ha deciso di esercitare i poteri speciali su alcuni dossier riguardanti le aziende di Tlc mentre lo scorso 24 ottobre la Camera ha approvato il decreto sulla cybersecurity che integra i poteri speciali del Governo e delinea parametri certi da rispettare “per assicurare a tutte le imprese coinvolte una cornice di sicurezza adeguata ai tempi e ai rischi”.
L’Italia d’altronde non è l’unico Paese a manifestare timori sull’operato delle aziende cinesi. I primi a scagliarsi contro i due colossi cinesi sono stati gli Stati Uniti che lo scorso aprile hanno inserito Huawei in una black list di aziende con le quali le società americane non possono fare affari senza prima chiedere un’apposita autorizzazione al Governo Usa. Il ban è stato prorogato più volte, ma fino ad oggi non si è ancora arrivati ad una soluzione definitiva, anche a causa della guerra commerciale che negli ultimi due anni ha coinvolto Usa e Cina. Le parti però sembrano finalmente vicine ad un accordo e la prima a trarre beneficio dal nuovo clima di pace potrebbe essere proprio Huawei.
Da questo lato dell’oceano dovrebbe arrivare a breve la decisione del Governo britannico su Huawei, in attesa della quale Londra ha stabilito che la società potrà vendere tecnologie non-core per il 5G, ma dovrà restare fuori da quelle core. Lo scorso 5 dicembre però alcune dichiarazioni di Johnson hanno anticipato quale potrebbe essere la scelta: “Non voglio che questo Paese sia ostile agli investimenti dall’estero. D’altra parte – dice il premier – non possiamo pregiudicare i nostri vitali interessi di sicurezza nazionale né possiamo pregiudicare la nostra capacità di cooperare con altri partner di sicurezza di Five Eyes. Questo sarà il criterio chiave che forma la nostra decisione”.
Il problema è che sia Huawei che Zte sono leader incontrastate del settore e, la loro esclusione dalla tecnologia 5G potrebbe rallentare il suo sviluppo nelle Nazioni interessate, con ricadute economiche e politiche enormi. Lo scopo (di tutti) è dunque quello di salvaguardare sia la sicurezza nazionale che lo sviluppo tecnologico, sempre che le due cose riescano a coincidere.
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L'affermazione "Huawei che Zte sono leader incontrastate" è imprecisa. Esistono altri player driver nella deployment del 5G nel mondo. Sono Ericsson e Nokia!