Oggi l’euro compie 13 anni, 10 anni da quando cammina con le proprie gambe come moneta o banconota. E, come tutti gli adolescenti, vive diversi ed impegnativi problemi di crescita. Però, non esageriamo. Da almeno tre anni in qua, a trimestri o mesi alterni, c’è chi si lamenta dell’eccessiva forza o debolezza della valuta europea contro il dollaro. In questo momento, come succedeva nella primavera del 2010, è chiaro che l’euro è sottoposto ad un attacco concentrico da parte della speculazione internazionale e vive un momento di particolarmente difficoltà.
Ma, chiediamoci, era meglio per le imprese quando l’euro aveva un trend ben definito (forte discesa o forte rivalutazione), o in questi tre anni, nei quali l’euro oscilla contro dollaro in una fascia tutto sommato ristretta, diciamo del +/- 10% rispetto ad una ipotetica parità centrale rispetto al dollaro? Senza nulla togliere agli esperti di Forex trading, che certamente hanno più difficoltà – ma anche più opportunità – in una situazione di volatilità bilaterale molto elevata, le imprese hanno altre necessità: quelle di coprire i rischi di cambio in un periodo più lungo, quello che va da uno a dodici mesi. Ma prima di arrivare ad affrontare questa faccia della medaglia, è meglio analizzare l’andamento storico del cambio EUR/USD.
Riportiamo in allegato i grafici a 5 anni e 1 anno di questo rapporto di cambio (fonte: Yahoo! Finanza – valute). Il primo fixing dell’euro contro la valuta americana (1.1.1999) fu di 1,1667. I due anni successivi furono di continua discesa della valuta unica, fino al minimo storico (ottobre 2000) di 0,8229. Da quel punto seguirono continui e progressivi rialzi del cambio EUR/USD – certo, con lunghi periodi di stop e ritracciamenti – fino al massimo storico del luglio 2008. Poco prima dello scoppio della crisi l’euro sfiorò la quota storica di 1,60, ma si indebolì subito dopo. Da allora a tutto il 2011, è cominciata l’oscillazione continua fra le quote 1,20 e 1,50, con continue inversioni di trend. In particolare, nell’ultimo anno l’euro ha cominciato e finito vicino al livello di 1,30, con un massimo di 1,4821 (2.5.2011) e un minimo, proprio a fine anno, di 1,2939. Nella tabella che segue i due grafici sono elencati i cambi medi mensili fra le due valute nei mesi fra gennaio e dicembre 2011: come si vede, essi sono compresi fra 1,33 e 1,44, con una media di 1,3984 (che scenderà, di poco, quando saranno resi noti i dati di dicembre).
Cosa ci dicono questi dati? Che, mentre chi fa trading vive continuamente sulle montagne russe (ma non è proprio per questo che si fa trading sulle valute?), chi in azienda deve gestire la tesoreria in valuta ha avuto diversi momenti favorevoli per effettuare le proprie coperture. Infatti, un’impresa deve conoscere per tempo le proprie esposizioni, che derivano dai crediti per esportazioni, dai debiti per importazioni, dalle previsioni di budget, dai finanziamenti da ricevere o da estinguere. E non c’è bisogno di attendere l’ultimo giorno per coprire le previste future esposizioni. Il mercato mette a disposizione delle imprese molti strumenti utili allo scopo: finanziamenti in valuta, depositi a breve termine, opzioni e cambi a termine. A proposito di questi ultimi, va ricordato che in questi mesi, dato lo scarsissimo differenziale fra i tassi d’interesse delle due valute, i cambi a termine si differenziano di molto poco rispetto a quelli a pronti. Pertanto è possibile intervenire con acquisti o vendite a termine di valuta tenendo d’occhio quasi esclusivamente il livello dei cambi spot, ed intervenire quando si sono raggiunte le soglie prefissate.
Quali sono quindi le previsioni ed i consigli da dare alle imprese per il 2012? Pur nella consapevolezza che fare previsioni sui cambi è un esercizio molto spesso pericoloso, perché espone a brutte figure, proviamo a sintetizzare alcuni punti fermi:
1. per quanto riguarda le previsioni sull’euro – dollaro, a meno di eventi clamorosi ed imprevedibili, non credo che le cose cambieranno di molto rispetto ai tre anni precedenti. La fascia 1,20-1,50 dovrebbe rimanere ancora valida, forse con una maggiore pressione verso il basso data la crescita più lenta in Europa rispetto agli Stati Uniti e le rimanenti difficoltà di diversi paesi dell’Eurozona;
2. la scelta degli strumenti deve rimanere ristretta a quelli che hanno caratteristiche di flessibilità, liquidità e semplicità: in altri termini bisogna scegliere strumenti che abbiano largo mercato, siano facilmente “smontabili” quando non servano più, e siano facilmente interpretabili dalla finanza aziendale. Gli strumenti troppo complessi (come le opzioni strutturate o con barriere multiple) sono costosi, di difficile interpretazione, scarsamente liquidi, troppo impegnativi per le linee di credito azindali, quindi in sostanza inutili. Vanno preferiti cambi a termine e finanziamenti export per i flussi certi (cioè quelli derivanti da contratti firmati, sia import che export, e quelli derivanti da scadenze certe di finanziamenti e depositi), mentre per quelli previsti in tesoreria si possono moderatamente usare le currency options, dando la preferenza agli acquisti di opzioni semplici;
3. infine, la scelta del momento di intervenire: se quanto abbiamo prima detto si rivela giusto, si deve privilegiare per gli esportatori la fascia bassa (sotto 1,30), intervenendo progressivamente in caso di ulteriori ribassi dell’euro; per gli importatori meglio invece attendere l’eventuale ritorno sopra le medie del 2011, da 1,35 in su, anche in questo caso con acquisti progressivi di valuta. Negli anni scorsi questa strategia, di gestione paziente e dinamica del rischio di cambio, ha dato buoni frutti, e non vedo perché non ne debba dare nel 2012.