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Vigilanza bancaria: tocca al Parlamento e non alla Banca d’Italia riscrivere le regole

La crisi della Vigilanza bancaria ha messo in luce l’inadeguatezza delle sue regole e l’assurda divisione per funzioni dell’attività della Banca d’Italia e della Consob – Ma la rivisitazione delle regole non può essere affidata alla parte interessata bensì al potere politico nella sua espressione
parlamentare

Vigilanza bancaria: tocca al Parlamento e non alla Banca d’Italia riscrivere le regole

Dopo la vicenda della nomina del Governatore della Banca d’Italia, mentre si svolgono le audizioni presso la Commissione parlamentare, non è inutile confrontarsi con principi di conduzione del sistema. Basta richiamarli per cogliere che i difetti sono nelle istituzioni, al di là del comportamento delle persone, necessariamente condizionato.

– Il diritto comunitario garantisce l’indipendenza della Banca d’Italia, componente della B.C.E, nella missione monetaria; non riguarda la Vigilanza. È la legge italiana che ne ha demandato l’esercizio, e l’organizzazione, alla Banca medesima. La gestione della moneta in quanto interviene su aggregati macro-economici può essere affidata alla missione tecnica di un Ufficio indipendente, senza violare il principio della concentrazione dell’Esecutivo sul Governo. Invece la Vigilanza è amministrazione di operatori privati: sia come politica di stabilità e di definizione degli assetti proprietari; sia di polizia (ispezione) sulle singole imprese. Perciò richiederebbe di essere assoggettata ai tre vincoli pretesi dall’ordine democratico della Costituzione: a) la dipendenza dall’Esecutivo, responsabile verso il Parlamento, a sua volta verso il popolo elettore; b) la stretta legalità (rule of law); c) l’azione giurisdizionale nella difesa dei destinatari dell’azione amministrativa.

Ricordiamo che l’ordinamento bancario del 1937 affidava la Vigilanza all’Ispettorato sotto l’autorità del Capo del Governo, all’epoca per preservare le prerogative dell’esecutivo di regime totalitario, con scarsa sensibilità per gli altri profili. Rimaste deboli le protezioni private, retaggio insensibile all’urto delle novità Repubblicane, la successiva concentrazione della Vigilanza sulla stessa Banca d’Italia. ne ha fatto un Apparato autonomo, forte per l’affiancamento della funzione monetaria; influente sulla elaborazione della legislazione in materia; persino influente sullo stesso avvicendamento del Governatore: lo abbiamo visto. Diciamo meglio. La Banca finisce con l’impersonare il sistema bancario; Esponente di enti protetti dalla concorrenza, in grado di autogestirsi; in buona sostanza sistema corporativo refrattario ai vincoli della divisione dei poteri, genericamente sostituiti da informale dialogo, indicato nel gergo persuasione morale. Nella logica dell’Apparato l’orizzonte delle persone è la contingente gestione burocratica, con la vocazione alla conservazione, che si accomoda all’eventualità di arrangiare le cose nell’opaco, per l’interesse solidale dei partecipanti. Ne sono inconsapevole vittima gli stessi esponenti della Banca d’Italia, che non trovano ripari nell’ordine delle competenze, che vincolerebbe ciascuno a giocare la sua parte.

La gestione delle crisi è il punto di emersione dei pasticci intrinseci al sistema, rivelato nella costante pratica di informali salvataggi per fusioni e concentrazioni, con elevati costi impliciti; espliciti per contenere la diffusione a catena dei crolli; non raramente con indebite ricadute favorevoli alle persone coinvolte (ad. es. sottrazione alle conseguenze penali della dichiarazione d’insolvenza; cronaca di oggi: “Veneto Banca, ecco i soci salvaguardati dal crac!). E’ il punto che si è trovato in urto con la recente legislazione comunitaria sulle procedure di risoluzione (bail-in); la quale, per avere ben inteso il vincolo della legalità, sottrae alla discrezionalità la gestione della crisi, con le conseguenze che stiamo sperimentando.

– La nomina del Governatore è politica. Adombrare, lo abbiamo sentito, che discuterne politicamente attenta all’autonomia della Banca d’Italia conferma quanto si sia radicata la distorta idea di indipendenza.

Nel merito sarebbe opportuno riprendere la prassi della nomina di persona di provenienza esterna al corpo che dovrà dirigere, non soltanto per sfuggire ad aspettative di carriera interna; per l’esperienza di diverse professionalità; non da meno per la libertà da vicende pregresse, che possono accrescere l’autorità del prescelto.

– Si è sbagliato a separare le competenze della Banca d’Italia dalla Consob per funzioni anziché per soggetti, come altri proponevano. Non soltanto è difficile distinguere funzioni e responsabilità: lo rivelano le schermaglie tra le Autorità. Ma soprattutto si intendeva avviare la disintermediazione bancaria con lo stimolo alla raccolta diretta, nella condizione di un mercato finanziario che si riteneva ormai maturo per articolare la concorrenza tra intermediazione bancaria: credito a breve; e raccolta diretta: appropriata al finanziamento dei rischi sul medio termine con azioni ed obbligazioni. Da un lato gli operatori del mercato; dall’altro le banche, alle quali precludere, almeno per un certo tempo, l’operatività di borsa: lo si era proposto. Soluzione profondamente avversata dalle banche, le quali in definitiva si sono incaricate anche del finanziamento degli impianti e degli immobilizzi, peraltro mediante l’erogazione del credito a breve termine, con aggravamento dell’insoluto, con difficoltà di crescita per le imprese. Ricordo che la prima scelta, di dare all’Autorità bancaria anche la competenza sulla borsa, fu poi corretta con l’istituzione della Consob, ma con il compromesso della distinzione delle competenze per funzioni, che così conservò all’intermediazione bancaria la centralità, accentuata dalla novità della banca ad operatività universale, divenuta sì dominante sulla borsa, ma senza interesse a sviluppare. Scelta di miope egoismo, decisa per vie amministrative, che ha impedito lo sviluppo di un mercato mobiliare favorevole alla crescita anche delle minori imprese. Si è perduta l’occasione.

– La Vigilanza, vieppiù se polizia di controllo, incontra negli interessi dei destinatari diritti soggettivi. Perciò la giurisdizione appropriata è il giudice ordinario. La recente legislazione è di contrario orientamento, concentrando la materia sul giudice amministrativo, che ancor più consolida la finanza in ordinamento settoriale. Sottolineo che il riparto delle giurisdizioni è squisita scelta politica, che non può essere oscurata dai presunti tecnicismi sulla distinzione del diritto dall’interesse legittimo.

– L’azionabilità richiederebbe di ricostruire il tessuto legislativo. Ma il problema dell’ordine delle fonti e delle corrispondenti procedure (legge, regolamenti, circolari, persino lettere di risposta a quesiti) è divenuto così pervasivo, che non è la sede per affrontarlo.

– E’ grave violazione della divisione dei poteri l’applicazione delle sanzioni affidata alle stesse Consob e Banca d’Italia, non rimediata dalle suddivisioni interne. Deve essere affidata ad un organo quasi-giustiziale, del tutto indipendente dalle Autorità di settore, innanzitutto nelle nomine, dinanzi al quale sviluppare il contraddittorio.

L’attuale situazione non è trasparente, ancor più ingarbuglia le cose, oltre a degradare la protezione del destinatario.

La discussione politica va concentrata sulla logica delle istituzioni. Riscrivere le regole della stabilità, leggo Bruni su La Stampa (13/11). La riforma andrebbe affrontata avvalendosi di uno studio preliminare (c.d. libro bianco). Ma, è il caso di sottolineare, non affidato alla stessa parte interessata alla riforma. Le commissioni di riforma non debbono essere affidate agli stessi corpi: agli avvocati per l’ordine; ai giudici per la giustizia civile penale fallimento; alla Vigilanza per la nuova configurazione. Invece è questa abitudine frequente, direi normale. È grave sintomo di corporativismo, che indebolisce nel Parlamento l’acquisizione tecnica dei problemi. Il populismo ne è lo sfogo, non corretto da argomentazioni indipendenti, offerte alle varie posizioni.

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