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Sud, la crescita c’è ma bisogna renderla duratura: ecco come

ll Rapporto Svimez ci dice che per il terzo anno consecutivo il Mezzogiorno cresce e che per due anni la sua crescita è stata addirittura superiore a quella del Nord e che i Contratti di sviluppo gestiti da Invitalia hanno attivato 3,6 miliardi di investimenti e alimentato una occupazione “buona” – Ora la sfida è rendere strutturale la crescita del Sud

Sud, la crescita c’è ma bisogna renderla duratura: ecco come

Il rapporto della Svimez ci dice che, per il terzo anno consecutivo, il Sud ha continuato a crescere. Per due anni anche con un ritmo superiore a quello del Nord. Quindi, oggi siamo di fronte ad un problema: come si fare a rendere questa crescita strutturale e non effimera; duratura e non congiunturale. Ma è un problema che, appena tre anni fa, avremmo auspicato di avere. Allora, infatti, la situazione era molto diversa rispetto a quella che ci racconta oggi il rapporto Svimez.

Primo, nel Sud si investe. C’è una ripresa dell’industria meridionale, con tassi superiori alla media nazionale. I Contratti di Sviluppo gestiti da Invitalia – e che la stessa Svimez riconosce come uno degli strumenti principali per la crescita – non solo hanno attivato 3,6 miliardi di investimenti ma, per il 40%, sono stati sottoscritti da imprese straniere. Il che significa che il Sud sarà pure distante dai mercati internazionali, ma non abbastanza lontano per non attrarre le multinazionali.

Secondo, è in ripresa l’occupazione “buona”,  grazie alle agevolazioni per le micro imprese e per le start up. Nei prossimi mesi il governo metterà in campo anche un nuovo strumento, “Resto al Sud”.

Terzo, è in crescita anche il turismo. Una ripresa che sarà pure dettata da motivi esogeni che hanno di fatto ridotto le possibili mete di attrazione turistica. Ma è anche frutto delle scelte del governo, che ha deciso di destinare i fondi europei per integrare sempre di più l’offerta turistica con quella culturale e che ha creato nuovi incentivi come Cultura Crea, per la nascita e lo sviluppo delle imprese culturali e turistiche.

Il Sud, insomma, non è più “un vuoto a perdere”. Vorrei, a questo punto, ricordare due semplici dati che smentiscono chi ancora taccia il Mezzogiorno di assistenzialismo. Nel ’93 gli incentivi pubblici in Italia erano pari all’1,2% del Pil, contro una media europea dello 0,8%. Nel 2016, in Europa gli incentivi sono stati, in media, dello 0,62% del Pil, con un calo dello 0,2%. Nello stesso anno, in Italia, sono stati erogati incentivi per lo 0,24% del Pil, sei volte in meno rispetto a 25 anni fa.

Ci sono, poi, altri due aspetti da tenere in considerazione. Ogni volta che si fanno politiche indifferenziate, questa favoriscono sicuramente di più il Nord, dove la base produttiva è più ampia, e finiscono per ampliare il divario con il Sud.

Ultimo aspetto, il Mezzogiorno non è più un’unica massa indistinta. Sempre nel 2016 la Campania è cresciuta del 2,4% e la Sicilia dello 0,3%, otto volte in meno. La Basilicata del 2,1% e la Puglia dello 0,7%, tre volte in meno.

Che cosa fare? In primo luogo c’è un problema di credito: i tassi di interesse non solo sono più alti rispetto al Nord ma sono poche le aziende che ricevono tutto il credito che chiedono agli istituti. Da questo punto di vista la recente integrazione della Banca del Mezzogiorno nel perimetro di Invitalia, con le conseguenti sinergie con gli incentivi gestiti dall’Agenzia, può rappresentare un utile contributo per risolvere la questione.

C’è poi il permanere del gap infrastrutturale, che può trovare risposta con il rilancio degli investimenti pubblici. La nostra controllata, Infratel, ha portato a termine gare per 3 miliardi destinate alla realizzazione della rete a Banda Ultralarga. E le opere partiranno proprio dalle regioni meridionali.

Infine, c’è un deficit amministrativo. Un deficit concentrato soprattutto sull’asse del tempo, sulla velocità con la quale la burocrazia è in grado di dare risposte alle imprese che vogliono investire. Nel mondo contemporaneo la variabile più importante per lo sviluppo non è quella del capitale ma quella del tempo.

Vorrei concludere ricordando che negli ultimi tre anni è finalmente tornata nell’agenda del governo la questione meridionale, dopo un lungo periodo durante il quale sul Sud era scesa una cappa di silenzio. Evitiamo che i rumori di fondo, i “sussurri” ascoltati nelle ultime settimane sulla rinascita di una questione settentrionale tornino ad essere, come già accaduto nel recente passato, “grida”..

Non vorrei allora, in conclusione, che ci svegliassimo ritrovandoci ancora di fronte ad una nuova Questione Settentrionale.

°°° L’autore è l’Amministratore delegato di Invitalia

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