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Morlino (Luiss): “Elite, società e populismo: ecco come nasce il cortocircuito”

INTERVISTA DEL WEEK END A LEONARDO MORLINO, ordinario di Scienza della Politica della Luiss – “Le forze politiche nazionali non hanno più il potere di gestire le grandi trasformazioni e così sorgono ideologie sovraniste che alimentano solo nuove illusioni” – L’emergenza classe dirigente ha due origini

Morlino (Luiss): “Elite, società e populismo: ecco come nasce il cortocircuito”

Non è molto incoraggiante che alla vigilia delle elezioni regionali in Sicilia e a pochi mesi dalle elezioni politiche nazionali di inizio marzo si discuta di “Emergenza classe dirigente”, come recitava il titolo di un dotto convegno promosso venerdì a Firenze dal think tank Cesifin. Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti. Dall’elezione di un presidente inafferrabile come Donald Trump alla guida degli Stati Uniti alla Brexit nel Regno Unito, per non parlare delle vicende italiane e dei rigurgiti populisti della Lega e dei Cinque Stelle, la crisi di leadership è un filo rosso che lega tutto l’Occidente. E la crisi della classe dirigente, soprattutto politica, che viene spesso percepita come autoreferenziale e priva di autorevolezza, è di tutta evidenza. Ma quali sono le cause e da dove nasce il cortocircuito tra elìte e società? Che rapporto c’è tra populismo e crisi della classe dirigente politica e come se ne esce? Di tutto ciò parla nell’intervista rilasciata a FIRSTonline il politologo Leonardo Morlino, ordinario di Scienza della Politica all’Università Luiss di Roma, che al convegno di Firenze ha tenuto una relazione su “Elite e democrazia”.

Professor Morlino, l’emergenza classe dirigente riguarda solo la politica o va al di là e si presenta come un problema tutto italiano o è un tratto tipico della nostra epoca in tutto il mondo? 

“E’ un problema che investe principalmente la politica, ma non solo in Italia. Nel nostro Paese la crisi della classe dirigente è crisi della classe dirigente politica e burocratica, mentre non si può dire la stessa cosa della classe dirigente manageriale e imprenditoriale che spesso esprime eccellenze che si sanno far valere sui mercati di tutto il mondo. In un certo senso si può dire che la classe dirigente italiana si muova a due velocità: è in crisi nella politica e nella amministrazione pubblica, ma non lo è nell’economia. Nel nostro Paese, inoltre, la crisi della classe dirigente politica è il frutto della tumultuosa e non ancora conclusa trasformazione dei partiti e dell’inconsistenza dell’illusione maggioritaria che la recente legge elettorale ha ormai eliminato”.

In che senso l’illusione maggioritaria ha pesato sulla classe politica? 

“Nel senso che da 25 anni ci siamo illusi di rispondere alla domanda di governabilità con una democrazia maggioritaria, basata cioè su regole maggioritarie a proposito di istituzioni di governo e di sistema elettorale. Infatti, una democrazia maggioritaria può funzionare solo in un paese omogeneo, moderato, coeso, ma non ha mai funzionato in paesi, come il nostro ed altri, percorsi da conflitti radicalizzati. Ciò detto, bisogna distinguere tra diversi tipi di leadership a livello nazionale e classe dirigente politica a livello parlamentare e locale. Una volta i leader nazionali erano diretta espressione  dei partiti, ma ora basta pensare ai percorsi di Grillo o di Berlusconi per comprendere che non è più così da diversi decenni. Allo stesso tempo i quadri politici locali o fanno parte di partiti eredi di quelli tradizionali o sono spesso improvvisati e vengono dal nulla. Negli anni dei partiti ideologici ed organizzati, un leader politico aveva di solito letto e studiato e conosceva la storia del suo Paese, ora vi è scarsa cultura e poca conoscenza. Non stupisce, quindi, che a visioni di largo respiro, anche se fortemente ideologiche,  si sostituiscano il tatticismo e gli ondeggiamenti continui della linea politica. Non succede solo in Italia. Basta vedere come s’è trasformata Syriza in Grecia per averne conferma”.

Ma mancano i leader e una vera classe dirigente o mancano i partiti organizzati come c’erano una volta in Italia? 

“Specie dopo la caduta del Muro di Berlino i partiti si sono profondamente trasformati, ma ci sono, anche se non sono più laboratori di classe dirigente come un tempo. Sono formazioni che, come avviene negli Stati Unti, hanno una finalità principalmente elettorale e non sono più strutture di rappresentanza, ma di sola intermediazione”.

Mai come in questi tempi si scorge una distanza abissale e un vero e proprio cortocircuito tra elite e società e c’è chi sostiene che alla base di tutto ci sia non tanto o non solo una generica inadeguatezza delle classi dirigenti, ma l’incapacità di promuovere una crescita economica che comporti benefici tangibili in materia di salari e posti di lavoro soprattutto per le nuove generazioni e una percepibile riduzione delle diseguaglianze sociali. Qual è la sua opinione? 

“E’ vero che vi è un cortocircuito tra società ed elìte e che la loro distanza è venuta crescendo dagli anni ’70 in poi e non solo in Italia. Le classi dirigenti nazionali sono state travolte e delegittimate da trasformazioni socio-economiche profonde che non hanno saputo o potuto governare. Lo spostamento del baricentro decisionale dai singoli Paesi all’Unione europea, la globalizzazione, l’immigrazione di massa e lo sviluppo delle nuove tecnologie hanno svuotato i partiti tradizionali e spostato al di fuori di loro e spesso al di fuori dei confini nazionali il potere decisionale reale. La domanda di crescita economica e di maggior giustizia sociale che le popolazioni e soprattutto le nuove generazioni rivolgono a partiti e governi è una domanda che le forze politiche nazionali non possono più raccogliere, perché non hanno più il potere di gestire  trasformazioni di enorme portata. Ecco perché sorgono ideologie sovraniste, che però possono solo alimentare nuove illusioni”.

Professore, che rapporto c’è tra populismo ed emergenza della classe dirigente: quale dei due è la causa e quale l’effetto o sono entrambi causa ed effetto insieme? 

“Il diffondersi del populismo, inteso come rivolta contro le elìte e prospettazione di risposte semplicistiche ai problemi molto complessi delle società contemporanee, è principalmente l’effetto delle trasformazioni culturali, sociali e politiche che hanno investito l’Occidente dalla fine degli anni ’60, che hanno avuto un punto di svolta con la caduta del Muro di Berlino dell’89 e il tramonto delle vecchie ideologie e che hanno ricevuto un’ulteriore accelerazione dalla crisi economica che si è scatenata dal 2007-8”.

Da che cosa deriva e che caratteristiche specifiche ha rispetto ad altri Paesi la crisi della classe dirigente italiana? 

“La peculiarità italiana, oltre che dalle grandi trasformazioni accennate prima e comuni a tutto l’Occidente, nasce dal terremoto politico post-Tangentopoli dei primi anni ’90 e dalla fine del regime di stabilità a tre gambe basato sul rapporto permanente tra Governo, imprese e sindacati degli anni tra il 1992 e il 1998. Da allora la lotta politica si radicalizza, nascono nuove formazioni politiche a forte impronta populista e la crescente debolezza delle forze politiche al Governo non arresta le diseguaglianze sociali che finiscono per delegittimare sempre di più le classi dirigenti e rendere più fragile la democrazia. E così il cerchio si chiude”.

Come se ne esce? Che bisogna fare per superare l’emergenza classe dirigente? 

“Non c’è una ricetta semplice, ma bisogna partire dalla formazione e dalle università rendendole i canali più efficaci di selezione della nuova classe dirigente. La sfida che abbiamo di fronte richiede una grande battaglia culturale che trasformi la meritocrazia da una parola spesso odiata in un valore democratico in base al quale selezionare la classe dirigente. Non è un cambiamento che può avvenire a breve, ma è tempo di avviarlo”.

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