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Guerra a che serve? Per Krugman è solo una grande illusione e alla fine perdono tutti

L’economista premio Nobel Paul Krugman medita su un’antica domanda: a che pro la guerra? Nel farlo richiama il saggio del 1909 di Norman Angell in cui sosteneva che la guerra era diventata obsoleta a causa dell’interdipendenza economica tra i Paesi

Guerra a che serve? Per Krugman è solo una grande illusione e alla fine perdono tutti

A che pro la guerra? In questo lucido intervento il premio Nobel Paul Krugman, nel motivare l’insensatezza di una guerra di conquista di stampo quasi pre-moderno in un mondo totalmente interconnesso e interdipendente, richiama uno dei libri più importanti e seminali sulla pace e la guerra. Si tratta de La grande illusione del giornalista e saggista inglese Norman Angell, premio Nobel per la pace nel 1933. Il libro uscito nel 1909 ebbe una enorme diffusione e fu tradotto in 25 lingue, anche in italiano nel 1913 (e mai più ristampato).

Angell, analizzando i cambiamenti economici avvenuti con la seconda rivoluzione industriale, cercò di mostrare la totalità inutilità della guerra sotto tutti i punti di vista, compreso quello della politica di potenza.

In un mondo economicamente interdipendente la guerra diventava solo una “grande illusione” incapace di realizzare alcun obiettivo. La guerra era diventata una opzione perdente e controproducente per tutti, sia per i vinti che per gli stessi vincitori.

Il successo e la diffusione del libro non salvarono il mondo dalla catastrofe della Prima guerra mondiale le cui conseguenze devastanti non risparmiarono nessun paese sia che fosse tra i vincitori che tra i vinti. Una triste conferma della fondatezza delle tesi di Norma Angell. Allora come ora. Schadenfreude, soddisfazione amara.

Ecco, in versione italiana, che cosa ha scritto il 4 marzo il Premio Nobel Paul Krugman sul New York Times

A che serve la guerra? Tutti perdenti

Il miracolo ucraino potrebbe non durare. Il tentativo di Vladimir Putin di arrivare a una vittoria veloce e a basso impatto, impadronendosi delle città importanti con forze leggere, ha dovuto fare i conti con una resistenza inattesa, ma i carri armati e l’artiglieria pesante avanzano. Malgrado il grande eroismo del popolo ucraino, è probabile che alla fine la bandiera russa verrà issata sulle macerie di Kiev e di Kahrkiv.

Anche se accadrà, la Federazione Russa ne uscirà più indebolita e più impoverita di quanto non lo fosse stata prima dell’invasione. La guerra di conquista non paga.

Perché non paga? Nella storia, ci sono molti casi in cui gli imperi si sono arricchite con l’azione militare. Di sicuro, i Romani trassero beneficio dalla conquista del mondo ellenistico, lo stesso accade alla Spagna con la conquista dei domini degli Aztechi e degli Incas.

Il mondo moderno, però, – dove per “moderno” intendo almeno l’ultimo secolo e mezzo – è diverso.

La grande illusione

Nel 1909, lo scrittore inglese Norman Angell pubblicò un libro diventato famoso. La grande illusione. In esso dimostrava che la guerra era diventata un mezzo superato. La sua tesi venne fraintesa come la fine di tutte le guerre, una interpretazione che si dimostrò terribilmente sbagliata. Quello che Angell voleva effettivamente dire era che né i vinti e neppure i vincitori avrebbero tratto alcun beneficio da una guerra.

E aveva sicuramente ragione. Noi tutti siamo grati agli alleati per avere prevalso nella Seconda Guerra Mondiale, ma l’Inghilterra ne uscì come una potenza dimezzata, soffrendo per anni austerità e penuria di valuta estera.

Persino gli Stati Uniti faticarono a trovare un equilibrio postbellico, il quale fu più difficile da conseguire di quanto molti comprendano: gli americani conobbero infatti un periodo di prezzi elevati che spinsero l’inflazione sopra il 20 per cento.

E di converso, persino la completa sconfitta non impedì alla Germania e al Giappone di raggiungere, nel tempo, una prosperità senza precedenti.

Il significato dell’interdipendenza

Perché e da quando le guerre di conquista sono diventate sterili? Angell individuò la ragione nell’affermarsi di una “interdipendenza vitale” tra le nazioni, che “attraversava le frontiere internazionali”. Questa interdipendenza aveva iniziato ad affermarsi a partire grosso modo dal 1870.

Una ipotesi senz’altro plausibile: il 1870 fu grosso modo il momento nel quale le ferrovie, la navigazione a vapore e il telegrafo resero possibile ciò che alcuni economisti definiscono la prima economia globale.

In una tale economia globale è difficile conquistare un paese senza tagliarlo fuori con immensi costi per quel paese – e per i vincitori stessi – dal contesto internazionale, come pure dalla divisione internazionale del lavoro, per non parlare del sistema finanziario globale. Già adesso possiamo vedere questa dinamica in atto nel conflitto tra la Russia e l’Ucraina.

A che serve la guerra? Perché tutti perdono

Angell metteva in evidenza anche l’impossibilità di impadronirsi di una economia moderna: semplicemente non si può assoggettare un sistema industriale nello stesso modo in cui lo si fa per un territorio, giacché tale arbitraria requisizione distrugge gli incentivi ed il senso di sicurezza dei quali una nazione avanzata ha bisogno per restare attiva e produttiva.

Anche in questo caso, la storia ha confermato la sua analisi. Per un certo periodo, la Germania nazista occupò nazioni con un prodotto interno lordo nel suo complesso doppio del suo – ma nonostante uno sfruttamento spietato, i territori occupati sembra che abbiano restituito solo il 30 per cento allo sforzo di guerra tedesco, perché le economie sottoposte al controllo della Germania collassarono sotto il peso del regime predatorio.

Un inciso: non è straordinario e terrificante ritrovarci in una situazione nella quale i fallimenti di Hitler ci dicono che cosa potrebbe accadere in futuro? Grazie, Putin.

Aggiungerei due altri elementi che spiegano perché le conquiste non possano essere durevoli.

A che serve la guerra? Il lato delle risorse

Il primo è che le guerre moderne richiedono una quantità immane di risorse. Gli eserciti premoderni abbisognavano di armamenti limitati e, in qualche misura, potevano depredare i territori conquistati per mantenersi.

Non più tardi del 1864, il Generale delle forze dell’Unione, William Tecumseh Sherman, poteva fare a meno delle linee di rifornimento nelle retrovie, marciando attraverso la Georgia con razioni per soli 20 giorni.

Gli eserciti moderni, invece, richiedono grandi armamenti, componenti di ricambio e, soprattutto, carburante per i mezzi motorizzati. Non a caso il Ministro della Difesa inglese ha constatato che l’avanzata russa su Kiev si è interrotta “probabilmente a causa di persistenti difficoltà logistiche”. 

Questo insieme di cose rende enormemente costosa una guerra di conquista e, in caso di successo, molto problematico ripagarla.

A che serve la guerra? Il lato nazional-popolare

Il secondo elemento è che oggi viviamo in un mondo di forti nazionalismi. I contadini dell’antichità e del medioevo probabilmente non si curavano dei loro conquistatori, ma oggi la faccenda è molto diversa. Il tentativo di Putin di impadronirsi dell’Ucraina sembra fondarsi non soltanto sul convincimento che non esista un qualcosa come la nazione ucraina, ma anche sull’assunto che gli stessi ucraini possano considerarsi russi.

Sembra molto improbabile che ciò possa accadere. Anche se Kiev ed altre importanti città cadranno in mano russa, la Russia si ritroverà a combattere per anni nel tentativo di sottomettere una popolazione ostile.

Dunque, le conquiste sono un concetto che non paga. Questo è gli occhi di tutti da un secolo e mezzo; è evidente a chiunque sia disponibile a guardare con oggettività ai fatti. Sfortunatamente, ci sono ancora pazzi e fanatici che sono convinti del contrario e, purtroppo, alcuni di loro controllano nazioni ed eserciti.

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Da Paul Krugman, War, what is good for?, in The New York Times, 4 marzo 2022 

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