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Teatro alla Scala: aperta la stagione 2022/2023, calendario e storia dell’opera Modest Petrovič Musorgskij

La Stagione d’Opera 2022/2023 del Teatro alla Scala si è inaugurata il 7 dicembre 2022 con Boris Godunov di Modest Musorgskij, diretto dal Maestro Riccardo Chailly con la regia di Kasper Holten. Ora in calendario il 10, 13, 16, 20, 23, 29 dicembre 2022

Teatro alla Scala: aperta la stagione 2022/2023, calendario e storia dell’opera Modest Petrovič Musorgskij

Con una serata inaugurale alla presenza di Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, Giorgia Meloni, premier, Giuseppe Sala, sindaco di Milano e molti altri ancora, ha inizio la stagione del Teatro alla Scala di Milano.

Ora l’opera, dramma musicale popolare in quattro parti (sette quadri), proseguirà nel suo calendario, il 10, 13, 16, 20, 23, 29 dicembre 2022, con inizio sempre alle ore 20

Le scenografie sono state disegnate da Es Devlin, Ida Marie Ellekilde; i costumi e Luke Halls i video, mentre le luci sono di Jonas Bǿgh. Interpreti delle parti principali sono Ildar Abdrazakov nelle vesti del protagonista, Ain Anger come Pimen, Stanislav Tro;mov come Varlaam, Dmitry Golovnin come Grigorij e Norbert Ernst come Šujskij, mentre Lilly Jørstad è Fëdor. Il Coro del Teatro alla Scala è diretto dal Maestro Alberto Malazzi.

Titolo ricorrente delle stagioni scaligere finn dalla prima italiana del 1909 voluta da Toscanini (ma diretta da Edoardo Vitale), diretto tra gli altri dallo stesso Toscanini ma anche da Guarnieri, Votto, Gavazzeni e Gergiev, Boris Godunov apre la Stagione scaligera per la seconda volta dopo la memorabile edizione diretta da Claudio Abbado nel 1979 con la regia di Jurij Ljubimov. La versione scelta è quella primigenia del 1869, che sgomentò i contemporanei per i tratti innovativi e realistici tanto dal punto di vista drammaturgico quanto da quello musicale, e si concentra sul tema della colpa individuale e sulle sue inevitabili conseguenze. Una vicenda cupa e attuale che riecheggia l’argomento del Macbeth verdiano con cui il Teatro alla Scala ha inaugurato la Stagione 2021/2022. Siamo nel 1598: morto lo zar Fëdor, guardie e sacerdoti esortano il popolo a pregare perché il boiaro Boris Godunov accetti di ascendere al trono. Infine l’incoronazione ha luogo nella piazza delle cattedrali del Cremlino con un’imponente cerimonia turbata però da alcuni disordini. In una cella del monastero di Čudov l’anziano monaco Pimen sta per terminare la sua cronaca delle vicende della Russia. La cronaca riporterà la verità sull’assassinio dello Zarevič Dimitri, legittimo erede al trono, perpetrato su ordine di Boris. Pimen narra il delitto al novizio Grigorij, che avendo la stessa età dello zarevič risolve di farsi passare per lui e guidare una rivolta contro Boris per impossessarsi del trono. Grigorij ripara in Polonia evitando l’arresto attraversando la frontiera con la Lituania. Le ultime scene narrano fatti accaduti nel 1604: i figli di Boris, Xenia e Fëdor sono cresciuti; lo zar governa un paese ormai stremato dalla carestia in cui il malcontento serpeggia tra il popolo e si moltiplicano le voci sul regicidio commesso, mentre alle frontiere premono le forze ribelli guidate da Grigorij. Perseguitato dal fantasma dello Zarevič, Boris Godunov perde il senno e muore dopo un’ultima esortazione al figlio Fëdor.

Riccardo Chailly e Boris Godunov

Tra gli ormai numerosi percorsi di cui si compone la più che quarantennale esperienza scaligera di Riccardo Chailly, quello che attraversa il repertorio russo ha un rilievo particolare. Dopo il precoce debutto sul podio dei Masnadieri nel 1978, chiamato da Abbado a sostituire Gavazzeni, nel 1979 Chailly ottiene un caldo successo personale dirigendo The Rake’s Progress di Stravinskij al Lirico, cui segue nel 1981 il rompicapo critico e interpretativo rappresentato da La fiera di Soročincy di Musorgskij, risolto brillantemente. Nel 1994 è la volta dell’Angelo di fuoco di Prokoffev, un successo che sono in molti a ricordare ancora. “Nel corso delle prime stagioni della mia Direzione musicale – spiega il Maestro – ho ritenuto necessario un impegno esclusivo sul repertorio italiano, con i percorsi dedicati a Giacomo Puccini, alla “Trilogia giovanile” di Giuseppe Verdi e alle opere che hanno avuto alla Scala la loro prima assoluta. Oggi è venuto il momento di dare spazio anche ad altre voci che fanno parte a pieno titolo della storia della Scala. Il Boris Godunov di Modest Musorgskij ebbe nel nostro Teatro la sua prima rappresentazione italiana nel 1909 con la direzione di Edoardo Vitale e Fëdor Šaljapin come protagonista, e rimase nelle stagioni successive come presenza costante, in particolare grazie ad Arturo Toscanini che lo diresse per quattro Stagioni tra il 1922 e il 1927, ad Antonio Guarnieri che lo ripropose nel 1935, 1941 e 1946, e quindi, tra gli altri, ad Antonino Votto e Gianandrea Gavazzeni. Nel 1979 Boris Godunov fu la seconda opera non italiana a inaugurare la Stagione il 7 dicembre dopo il Fidelio diretto dal Karl Böhm nel 1974: una scelta di apertura voluta da Claudio Abbado che ne diede un’interpretazione memorabile insieme al regista Yurij Ljubimov. Ero allora assistente di Abbado e ricordo i mesi di prove per realizzare uno spettacolo molto innovativo che fu anche oggetto di critiche ma che è poi rimasto nella storia interpretativa dell’opera oltre che in quella della Scala. Tullio Sera scriveva che la grandezza del Boris è forse debitrice del cupo realismo con cui Verdi dipinge la vertigine del potere in Macbeth. Presentare le due opere in due inaugurazioni consecutive assume anche questo significato”.

Lo spettacolo firmato da Kasper Holten e dal suo team creativo propone una lettura dell’opera incentrata sui temi della coscienza opposta al potere e della verità opposta alla censura.

Alla radice della riflessione registica c’è l’origine del libretto, il dramma di Puškin, composto nel 1825 e pubblicato nel 1831. Allontando l’epopea del “periodo dei torbidi” Puškin si ispirava apertamente ai grandi drammi storici shakespeariani, non solo nella grandiosità dell’affresco ma anche nella profondità dei personaggi. È interessante d’altra parte osservare come Shakespeare sia vissuto al tempo del Godunov storico. Proprio al teatro di Shakespeare si rifanno alcune soluzioni adottate nello spettacolo, come la rappresentazione del senso di colpa attraverso la materializzazione di fantasmi, reali o immaginati, sulla scena. Lo spettro dello Zarevič trucidato da Boris per conquistare il potere sarà un elemento ricorrente, segno visibile della colpa e infine della follia del suo assassino. Un altro elemento che verrà posto in primo piano è la figura di Pimen, che vedremo in scena ; non dall’inizio intento a scrivere la sua cronaca, testimonianza veritiera e quindi politicamente pericolosa dei fatti che Boris e i suoi scribi tentano di occultare. Al centro dell’allestimento è esattamente questo richiamo alla verità e alla necessità di testimoniarla. Lo spettatore sarà trasportato all’interno della cronaca di Pimen e quindi della Storia, in cui passato presente e futuro si intersecano e si influenzano. Una Storia circolare in cui la violenza torna come una costante.

La vicenda, articolata in sette scene, è divisa in due parti ben distinte che saranno sottolineate dall’inserimento di un intervallo

Nelle prime quattro scene assistiamo alla cerimonia pubblica dell’incoronazione come mezzo propagandistico per trascinare il popolo, alla sovversiva testimonianza di verità di Pimen e alla decisione di Grigorij di stravolgere questa verità per usurpare il potere: in breve assistiamo a ciò che accade a Boris guardandolo dall’esterno. Nelle restanti tre scene – che si svolgono quasi sette anni dopo – siamo insieme a Boris, vediamo come questi cerca di convivere con la sua colpa, sentiamo la sua paura e il suo percorso verso la follia entrando nella sua mente. Anche qui i piani temporali si intersecano: i figli di Boris, Fëdor e Ksenija, avranno lo stesso destino dello Zarevič ma anche di tante vittime della violenza cieca del potere assoluto. Con la morte di Boris si chiude un circolo fatto di inchiostro e di sangue, in cui vediamo rappresentate insieme la Storia e la sua narrazione.

L’allestimento si avvale delle scenografie di Es Devlin. L’artista britannica ha ampliato il campo della sua attività dalla scenografa operistica ai grandi eventi, dalle cerimonie per le olimpiadi di Londra e Rio de Janeiro ai tour di Adele e Beyoncé fino alle grandi sculture in Trafalgar Square, per il Victoria and Albert Museum e Art Basel, fino all’originale collaborazione con il ;fisico italiano Carlo Rovelli. I costumi della danese Ida Marie Ellekilde attraversano la storia spaziando con spirito creativo e non filologico dai tempi di Boris Godunov a quelli di Puškin, di Musorgskij fino ad alludere al presente.

Le versioni di Boris Godunov

Il compositore procede quindi tra il 1871 e il 1872, in un periodo in cui divide la stanza con Rimskij-Korsakov, a una radicale revisione (la cosiddetta “versione originale”) che prevede l’aggiunta di tre nuove scene. Due costituiscono lo spettacolare “atto polacco” in cui non solo una serie di canzoni popolaresche interviene a smorzare la cupezza generale, ma la voce tenorile di Grigorij (il “falso Dimitri”) trova spazio ed espansione eroica accanto a Marina, il personaggio femminile che mancava alla prima versione. La terza, che rielabora temi della “scena dell’innocente”, sposta il finale dai toni dimessi della morte di Boris alla grandiosa rivolta nella foresta di Kromy. Non solo la continuità è spezzata a favore di una “drammaturgia a quadri” che si sposta tra luoghi e tempi diversi, ma tutta la musica è riscritta attenuando il realismo a favore di un più accentuato slancio lirico. La revisione fufficiente a far rappresentare l’opera, che andò in scena al Mariinskij l’8 febbraio 1874, ma non a decretarne il successo. La critica e i colleghi accusarono l’autore di cattivo gusto e ignoranza musicale: di fatto un autentico linciaggio.

La sopravvivenza del titolo sulle scene si deve in buona parte alla revisione completata da Nikolaj Rimskij-Korsakov nel 1896, che reinventa l’opera ricoprendola di un’orchestrazione lussureggiante di immensa seduzione ma in netto contrasto con le tinte scabre e severe volute da Musorgskij. Intanto nel 1928 il musicologo russo Pavel Lamm pubblica una revisione critica comprendente le due versioni originali in partitura, rispettose della volontà dell’autore e dei suoi accuratissimi manoscritti. La prima esecuzione assoluta dell’Ur-Boris ha luogo il 16 febbraio 1928 a Leningrado. Una nuova versione è poi approntata da Eostakovietra il 1939 e il 1940 e va in scena a Mosca nel 1959. La definitiva riscossa esecutiva dell’Ur Boris dovrà attendere la versione del Kirov diretta da Valery Gergiev nel 1992.


Per la sua nona inaugurazione di stagione il Maestro Riccardo Chailly ha scelto di dirigere Boris Godunov nella prima versione in sette scene presentata da Musorgskij ai Teatri imperiali di San Pietroburgo nel 1869

L’opera, tra i massimi capolavori del teatro musicale, ha gestazione e storia complesse. Il compositore, nato in una famiglia di proprietari terrieri e voltosi alla musica abbandonando la carriera militare, aveva subìto le conseguenze economiche dell’abolizione della servitù della gleba, riducendosi a una vita incerta e precaria, minata dall’alcol e dall’epilessia. Boris Godunov è la sua prima opera, e irrompe sulle convenzioni del teatro musicale del tempo con effetti dirompenti. Il libretto, di pugno del compositore, attinge alla tragedia di Puekin e alla Storia dello Stato russo di Alexander Karamzin per disegnare uno shakespeariano dramma della colpa sullo sfondo del cosiddetto “periodo dei torbidi” (1598-1614), gli anni di anarchia compresi tra la morte di Ivan il Terribile e l’avvento dei Romanov. Per farlo Musorgskij immagina un linguaggio musicale visionario e anticipatore che spezza le forme chiuse dell’opera tradizionale a favore di un’adesione assoluta alla morfologia della lingua russa. Dopo poco più di un anno di lavoro, dall’ottobre 1868 al dicembre 1869, Musorgskij presenta alla commissione dei Teatri imperiali di San Pietroburgo un’opera radicalmente innovativa: divisa in 7 scene, non pre- senta numeri chiusi, non contiene un intreccio sentimentale, non ha nessuna parte femminile di rilievo ma non prevede neppure un tenore eroico o amoroso. È il cosiddetto Ur-Boris o Boris originario: denso, cupo, profondo. Oggi la Scala lo presenta come titolo inaugurale; allora era decisamente troppo inconsueto per la commissione, che lo respinse con sei voti contro uno.

Le diverse versioni del Boris – osserva Franco Pulcini – rispecchiano diversi momenti del sentimento nazionale in Russia: l’Ur-Boris riecheggia la tradizione religiosa e spirituale russa concentrandosi sul tema della colpa individuale con accenti per certi versi analoghi a Delitto e castigo di Dostoevskij. Questo dramma della coscienza assumerà tratti più marcatamente storico-politici nella versione originale del 1874, con l’aggiunta dell’atto polacco. Il rifiuto di entrambe le versioni volute da Musorgskij riAette il senso di inferiorità dei russi ottocenteschi verso la cultura europea e il loro timore di apparire primitivi, brutali, selvaggi. Un sentimento cui trova rifugio il magistero strumentale di Rimskij-Korsakov con la sua tinta arabesca che attenua la violenza del realismo d’autore. L’epoca sovietica influenza invece la versione di Eostakovie in cui l’atto polacco diviene metafora del timore dell’aggressione esterna provato dai russi negli anni della Guerra fredda. L’Ur-Boris, con i suoi accenti shakespeariani e la sua riflessione quasi religiosa sui temi dostoevskiani del delitto, della colpa, del castigo inevitabile e della compresenza del bene e del male, presenta più di altre versioni un carattere di universalità.

Il protagonista

Ildar Abdrazakov giunge con Boris Godunov al suo sesto 7 dicembre. Dal debutto ne La sonnambula nel 2001 Abdrazakov ha cantato alla Scala ne La forza del destino, Macbeth, Samson et Dalila, Iphigénie en Aulide (con Riccardo Muti, 7 dicembre 2002), Fidelio, Moïse et Pharaon (con Riccardo Muti, 7 dicembre 2003), Carmen, Lucia di Lammermoor, Les contes d’Homann, Le nozze di Figaro, Don Carlo, Ernani e le ultime tre inaugurazioni di stagione con Riccardo Chailly: Attila il 7 dicembre 2019, la serata “A riveder le stelle” il 7 dicembre 2020 e Macbeth il 7 dicembre 2021, oltre che in numerosi concerti. Dotato di una tecnica vocale e di qualità sceniche che gli permettono di aprrontare un vastissimo repertorio, Abdrazakov anche nei suoi impegni di queste stagioni spazia dall’Italiana in Algeri (Salisburgo 2022 e 2023 con Cecilia Bartoli, San Pietroburgo 2022) e da Il turco in Italia (Vienna, 2022) a Attila (Londra 2022), Don Carlo (Monaco di Baviera, 2022 e 2023), La damnation de Faust (Napoli 2023); no appunto a Boris Godunov (Valdivostok e Milano 2022, Monaco di Baviera 2023).

Alla Scala tornerà nuovamente nel marzo 2023 per interpretare i quattro personaggi diabolici nei Contes d’Homann diretti da Frédéric Chaslin. Intensa anche l’attività concertistica che dopo i gala all’Arena di Verona e a San Pietroburgo lo riporterà negli Stati Uniti nel 2023 con la Boston Symphony Orchestra diretta da Andris Nelsons.

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