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Regioni-bancomat, non solo il Lazio: le spese senza giustificativi proliferano da Nord a Sud

Secondo un’indagine condotta dal Corriere della Sera, su 12 Regioni esaminate solo 4 sarebbero virtuose sui regolamenti per i rimborsi spese (manca infatti la legge nazionale) – Dal Veneto alla Sicilia, ecco la mappa dello scandalo.

Regioni-bancomat, non solo il Lazio: le spese senza giustificativi proliferano da Nord a Sud

Non solo Renata Polverini e la sua (ex) giunta della Regione Lazio. In assenza di una legislazione nazionale che regoli i finanziamenti e soprattutto le spese delle Regioni, lo scandalo sta per investire con il più classico degli effetti domino molte altre Regioni, dal Veneto alla Campania.

Il vuoto legislativo, che ora il Governo si sta impegnando a colmare dopo lo scempio delle spese folli del gruppo Pdl alla consiglio regionale del Lazio, riguarda il fatto che partiti e consiglieri non sono tenuti a giustificare le spese sostenute con scontrini o fatture, nemmeno a indicarne le finalità. L’inchiesta del Corriere della Sera, che ha preso in esame 12 enti locali, che otto (tra cui chiaramente il Lazio) non dispongono di un regolamento che obbliga i politici ad allegare scontrini e fatture. Gli unici casi viruosi sono quelli di Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Liguria.

La legge della Regione Lazio che ha consentito questo fenomeno della “Regione-bancomat” è la 6/73: prevede per ciascun gruppo un contributo mensile di 1.500 euro, più una quota variabile di 750 euro per consigliere. Ogni gruppo ha poi diritto a un contributo mensile per spese di aggiornamento, collaboratori e attività politica che viene stabilito dall’ufficio di presidenza del consiglio regionale. Organo che, sotto l’amministrazione Polverini con presidente del Consiglio Mario Abbruzzese, ha aumentato da 1 a 13,9 milioni i fondi ai gruppi.

Ma anche al Sud non si scherza. In Sicilia sono 12 milioni e 600 mila i fondi destinati ai partiti e nessun obbligo di rendicontazione. Nel dettaglio: 3.500 euro per ogni deputato, più fondi vari per chi lavora nel gruppo. Un esercito di 70 persone che percepiscono dai 1.500 (il dipendente) ai 4.100 euro (il portaborse). La Sardegna le va a ruota con i suoi otto gruppi che costano 5 milioni e 152 mila euro l’anno (spesa complessiva oltre i 20 milioni e 200 mila euro). L’obbligo di presentare pezze giustificative è arginato scegliendo la strada dei rimborsi forfetari: ogni consigliere, oltre all’indennità netta di 2.720 euro al mese, percepisce una diaria che va da 3.202 a 4.163 euro, un rimborso per spese di segreteria e rappresentanza di 2.346 euro per 12 mensilità e un contributo per spese di documentazione e strumentazioni tecnologiche di 9 milioni e 263 mila euro l’anno.

Anche il “virtuoso” Nord Italia non è da meno. Sempre secondo l’inchiesta condotta dal Corriere, i sessanta consiglieri del Veneto percepiscono “fuori busta” 2.100 euro netti al mese per rimborsi esentasse che non richiedono l’obbligo di presentare giustificativi. La giustificazione è stata che quei soldi servono a coprire i costi della benzina. Fatti due calcoli, però, è come se ogni consigliere percorresse qualcosa come 16 mila chilometri al mese.

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