Condividi

Lombardi uccisi dal denaro? Michele Serra, che cinismo

“Ammettiamo pure che il dio denaro sia un’ossessione esclusivamente lombarda e che sia la causa della tragedia che ha colpito la Lombardia, ma quello che Serra non ha capito è che le migliaia di morti tra i suoi disprezzati magutt e gli anziani delle case di riposo non c’entrano niente con il denaro, il profitto e la religione del lavoro”

Lombardi uccisi dal denaro? Michele Serra, che cinismo

Quando non si ha palesemente niente di interessante e di informato da dire su un argomento, ma si prova un bisogno compulsivo di farsi sentire perché ne parlano tutti, il risultato è “Il cielo di Lombardia” di Michele Serra, su Repubblica del 14 aprile. Siccome in tanti le sparano grosse in questi giorni, l’unico modo per farsi sentire è triplicare la dose in tutte le direzioni. La conseguenza è un pezzo fondato sull’oltraggio vile a una popolazione martoriata e l’insensibilità ostentata con spavalderia alla sofferenza altrui: è il prezzo altissimo che Serra è disposto a pagare per tentare una provocazione intellettuale di cui non è all’altezza.

Confesso, il pezzo di Serra mi era sfuggito, l’ho letto pochi giorni fa. Sicuramente in molti l’hanno già commentato nel frattempo. Immagino che l’abbiano fatto i soliti noti, i giornali della destra lombarda per esempio. E immagino che ciò abbia rinforzato Serra nella sua convinzione di aver scritto qualcosa di intelligente e sottile. Si sbaglia: il suo pezzo è tutto fuorché intelligente e sottile.

Ma se anche non ci fosse l’insulto atroce a una popolazione che soffre, il gusto carognino di colpire dal proprio salotto chi è a terra, il cinismo esibito e compiaciuto, tipico di una certa tradizione nostrana per la quale un intellettuale può permettersi tutto senza assumersi responsabilità; se anche non ci fosse tutto questo, il pezzo di Serra rimarrebbe una accozzaglia dei luoghi comuni più triti: “Un ospedale non è un’azienda, la salute non è una merce”, “la religione del profitto”. Rimarrebbe un coacervo di caricature banalotte, della stessa profondità delle barzellette sui carabinieri e della stessa originalità delle storielle tipo “c’è un italiano, un tedesco e un francese”, ma con in più un tono paternalistico e gratuitamente dispregiativo che lascia basiti per il suo razzismo culturale: “confindustriali lillipuziani, i magutt (manovali) bergamaschi tal quali i padroni delle acciaierie”, “le case lustre”.

Rimarrebbe un accumulo di frasi che vorrebbero essere ad effetto, buttate lì senza un filo logico, inclusa questa che non si capisce cosa ci azzecchi con il coronavirus: “C’è una pagina tremenda di Ian McEwan, grande scrittore inglese, su come è brutto il cielo di Lombardia quando è brutto”. C’è qualcosa di autolesionistico nel voler ergere uno scrittore dalla patria dei cieli grigi ad arbiter elegantiarum della bellezza dei cieli, ma poi ci si rende conto che qualsiasi mezzo va bene per sfogare la propria voglia di insultare a casaccio; e che oggi per certi intellettuali italiani citare qualcosa, qualsiasi cosa, di McEwan è necessario come 45 anni fa lo era citare qualcosa, qualsiasi cosa, dai Quaderni dal carcere di Gramsci.

Non c’è niente di costruttivo, niente di profondo, niente di informato, niente che faccia fare un passo avanti al lettore. Del resto, perché lambiccarsi il cervello per informarsi, per capire un fenomeno ovviamente complessissimo, per contribuire al dibattito, quando si può ridurre tutto a una frase ad effetto, ad una tesi superficiale e precostituita: “lavoro lavoro lavoro, il resto è solamente un impiccio, una deviazione dalla via maestra”? Forse Serra ha qualche evidenza che a Bergamo si lavora di più e la gente è meno felice che a Treviso, a Vercelli, a Reggio Emilia, tutte zone meno colpite dal virus?

È significativo che l’unico accenno specifico alla città di Bergamo sia in questa frase inspiegabile e incredibilmente autocentrata: “Ma già vent’anni fa, decollando da Orio al Serio, il cielo padano era una palude di smog, un’infezione manifesta”. Davvero Serra pensa che la sua impressione da un volo di venti anni fa possa interessarci, e dirci qualcosa su cosa è accaduto oggi? Davvero pensa di essere il primo a scoprire lo smog in Val Padana? Cosa vuole suggerire con quella espressione “infezione manifesta”? Forse che dall’alto delle sue conoscenze scientifiche aveva previsto allora, o anche solo ha capito ora, l’inevitabilità della tragedia di Bergamo?

Credo di sì, perché dopotutto la Lombardia per lui è soltanto un’enorme discarica, in un trionfo di orpelli letterari e di anti-industrialismo adolescenziale: “L’aria come una discarica, l’acqua come una discarica, la terra come una discarica”. Retorica che suona tanto più fatua, perché immediatamente vengono alla mente da un lato i laghi, i monti, le colline, le città d’arte della Lombardia, dall’altro le tante vere discariche letali di cui si parla da tanti anni in Italia, e che non risultano essere locate in Lombardia, bensì in regioni che dalla Lombardia hanno ricevuto fiumi di denaro.

Sì, la Lombardia ha fatto degli errori nel gestire l’epidemia; molti suoi politici hanno fallito la prova più dura; e il modello della sanità lombarda ha rivelato delle pecche gravi. E sì, il peccato originale è stato probabilmente il rifiuto di chiudere il focolaio della Valle Seriana, che a sua volta è stato conseguenza di una sottovalutazione del rischio sanitario, e magari anche di un po’ di ingordigia. Ma la sottovalutazione del rischio sanitario è stato un fenomeno solo lombardo? Quando ci volteremo indietro, il simbolo (che per fortuna non si è trasformato in tragedia) rimarrà la celebre risata di Zingaretti, che lombardo non è, sui “due casi di Coronavirus….di cosa stiamo parlando”.

Ma ammettiamo pure che il dio denaro sia un’ossessione esclusivamente lombarda, e che sia la causa della tragedia che ha colpito la Lombardia. Quello che Serra non ha capito è che le migliaia di morti tra i suoi disprezzati magutt e gli anziani delle case di riposo non c’entrano niente con il danaro, il profitto e la religione del lavoro. Capisco che a Serra faccia molto più comodo una narrazione alternativa per farsi notare anche quando non ha niente da dire, per imbastire la trama di una tragedia greca un po’ scontata, con la natura che si ribella all’ubris del profitto. Ma la realtà è molto più semplice: quelle donne e quegli uomini non hanno affatto “immolato la vita, come un capretto, sull’altare della produzione”; semplicemente non sapevano, nessuno gli aveva spiegato a cosa andavano incontro, e per settimane sono andati avanti come se niente fosse esponendosi al contagio. Non c’è assolutamente alcun dubbio che se avessero saputo si sarebbero fermati. Per questo la loro tragedia è, se possibile, ancora più triste; e per questo la tracotanza e il cinismo di Serra appaiono ancora più spaventosamente e colpevolmente fuori luogo.

°°°° L’autore è professore ordinario di economia politica all’Università Bocconi ed editorialista de “La Repubblica”.

5 thoughts on “Lombardi uccisi dal denaro? Michele Serra, che cinismo

  1. Gentile Perotti, grazie per questo suo pezzo, l’articolo di Serra cui si riferisce mi aveva francamente disgustato, tanto più se penso che quanto a “dané”, il nostro esimio “pensatore” incassa chissa quali maleodoranti palate di denaro dal lavoro di una casa editrice eminentemente lombarda (e di certo operosa) quale la Feltrinelli, per cui pubblica da lungo tempo. Sono sicuro che li reinveste tutti in opere di carità ambientale. Un cordiale saluto.

    Reply
  2. Caro Roberto, la tua risposta al demenziale articolo di Michele Serra non poteva essere più preciso, competente e argomentato. Serra, che intitola un libro “gli Sdraiati”, e tiene una rubrica fissa su Repubblica dal titolo evocativo “L’amaca”, ha un concetto del lavoro del tutto personale. Peccato che nella parte finale del suo “pamphlet”, dove parla di discariche, abbia dimenticato di inserire un certo modo di fare giornalismo, quale il suo. Proprio ieri avevo pubblicamente criticato le recenti affermazioni, anch’esse demenziali, di Vittorio Feltri, che raffrontato a Serra appare un gigante!

    Reply
  3. Complimenti Roberto, hai saputo cogliere appieno il cuore del problema ed il sentire di tanti lombardi che hanno visto morire i loro padri, madri e nonni in un modo che non avrebbero meritato dopo essersi sacrificati nel lavoro per lasciare esempio e benessere (loro che avevano patito la fame da bambini) alle future generazioni. Persone che hanno fattivamente contribuito a far grande l’Italia, creando una ricchezza di cui tutti gli italiani hanno beneficiato. Persone che si sono spese nel volontariato, nella solidarietà vera (non quella parolaia degli intellettuali da salotto), e che se ne sono andati soli, senza il conforto e la carezza di un parente o di un amico.
    Riguardo a Serra valgono i versi del sommo poeta: “non ragioniam di lor ma guarda e passa”.

    Reply

Commenta