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Fazioli: urge una riforma per le local utilities. Bisogna puntare sulla responsabilità di risultato

Per costruire un sistema efficiente è necessario porre al centro non più “i modelli”, bensì i risultati. E’ l’unico modo per rimuovere le sacche di inefficienza. Bisogna eliminare ogni forma di “periodo transitorio” per l’introduzione delle gare, ma non come dogma assoluto, bensì come “validazione progressiva” del lavoro di tutti gli operatori esistenti.

Fazioli: urge una riforma per le local utilities. Bisogna puntare sulla responsabilità di risultato

Il mondo dei servizi pubblici locali è ormai diventato uno dei luoghi di scontro ideologico fra i più emblematici degli ultimi vent’anni, che tanto ha prodotto, però, in termini di convegni, disegni di legge, norme cestinate e consulenze al punto di poter affermare che certamente alto è il costo accumulato per la collettività della persistente stasi di rinnovamento. Se tanto tempo è passato, però, non penso che ciò sia imputabile al fatto che in tale “mondo” ci siano, da una parte, buoni e volenterosi liberisti animati dalla volontà di liberare un mirabolante sistema produttivo latente sotto monopoli locali e, dall’altra parte, cattivi sindaci-imprenditori che ostruiscono la strada all’agire di un fantomatico mercato che promette pubbliche felicità dai cinismi privati. Suvvia, la divisione di questioni sociali complesse in “buoni” e “cattivi” nella storia ha sempre e solo creato perverse coalizioni regressive. Proviamo, allora, a concretizzare un processo rapido di riforma con un vero sforzo di semplicità e pragmatismo, proviamo a ripartire dal buon senso e dai derivati dell’evidenza empirica, abbandonando definitivamente le ideologie.

Fin qui ho trattato aspetti di carattere generale. Ora alcune doverose osservazioni critiche rispetto al quadro normativo recente per poi passare alle altrettanto doverose proposte.

Critiche. Riproporre, e facto, il 23bis è sbagliato, sia perché si presta a inconcludenti complicazioni, sia perché rischia di essere incostituzionale, sia perché ripropone approcci ideologici che creano opinabili asimmetrie fra i modelli a prescindere dai loro risultati, ovvero senza porre al centro l’onere della “prova dei fatti” per tutte le aziende di gestione, pubbliche, miste, private o quotate che siano. Creare asimmetrie ex-ante, a ben pensarci, o è contraddittorio rispetto agli obiettivi di efficienza o è semplicemente ipocrita. Al centro andrebbe sempre e solo la focalizzazione della “responsabilità di risultato”. Esempio: finire col santificare la legittimità del monopolio sregolato delle quotate al punto di farne “il modello di riferimento” è in contraddizione a qualsivoglia principio e norma comunitaria. Altro esempio: se ciò che conta è solo l’efficienza ed efficacia di un assetto operativo, allora l’attuale “moda” di condannare, sia de facto che de jure, l’in-house con disincentivi asimmetrici è semplicemente o scorretta o contraddittoria. Ultimo esempio: imporre l’obbligo del consolidamento del bilancio delle aziende in-house con quello dei relativi Comuni è tecnicamente quasi impossibile, sicuramente difficile e lacunoso. Ma, soprattutto, indurrebbe asimmetrie fra i cittadini: chi vive in luoghi dove si applica il modello In-House si troverebbe a patire fortissime restrizioni sugli investimenti pubblici locali, mentre chi vive in città con aziende dei servizi privatizzate o selezionate tramite una qualche forma di gara, al di là dei “risultati”, non soffrirebbe restrizioni!

Proviamo, allora, a impostare una vera riforma moderna e strutturale del sistema delle utilities, ponendo al centro non più i “modelli”, bensì i loro “risultati”. Ciò sarebbe coerente ai principi e norme comunitari. Ciò inibirebbe discussioni su “difese indifendibili”. Proviamo ad essere semplici nel regolare, efficaci nel normare, rapidi nei tempi e, soprattutto, spregiudicati nel mettere in evidenza (o “a nudo”) i risultati delle azioni. Una prima conseguenza? Dalla centralità del risultato deriva lo smascheramento delle inefficienze sovente e volgarmente ricondotte sia ai “trombati della politica” che amministrano aziende pubbliche con squadre di consulenti-supplenti a discapito dell’efficienza, sia ad improbabili manager che popolano i settori protetti.

La proposta? Come di recente pubblicato anche sulla Rivista di Management delle Utilities, eliminiamo ogni forma di “periodo transitorio” per l’introduzione delle gare, ma non come dogma assoluto, bensì come “validazione progressiva” dell’operato di tutti gli operatori esistenti. Si tratterebbe, in altre parole, di un “obbligo di gara temporalmente scalettato” su un semplice benchmarking di risultati empirici degli operatori esistenti. Potrebbe essere rapidamente realizzato da una competente Autorità di regolazione, magari già esistente.

Ovviamente diventa centrale studiare una efficace “cartina di tornasole”. La proposta, in sintesi è di una metodologia valutativa doppia: una procedura per l’assunzione di responsabilità sulle performance qualitative e un indicatore composto per la “efficienza relativa”.

L’indicatore composto di efficienza relativa potrebbe essere semplicemente rinvenibile, in un sistema di regolazione tariffaria fondato sul principio della full-Cost-Recovery, dalla tariffa media ponderata esistente al netto di un “indice di investimento” riconducibile agli ammortamenti pro-capite o all’incremento delle immobilizzazioni settoriali per unità di prodotto regolato. A ciò si deve, ovviamente, sommare il “deficit settoriale unitario” e l’eventuale “sussidio unitario ricevuto” (se il primo è un implicito sussidio del socio finanziatore, il secondo è un esplicito sussidio di terzi). In tal modo, chi ha tariffe magari basse, ma derivanti da scarsi investimenti e rese sostenibili da sussidi pubblici, si potrebbe trovare in fondo alla classifica dell’efficienza relativa e dover andare subito a gara.

E la tanto sbandierata “problematicità della qualità”? Non si ricorra più all’approccio tipicamente teorico-giuridico per cui contratti complessi tutelano i requisiti di qualità articolata, aspetto tipico di molti nei Bandi Pubblici finiti in lunghi e costosi contenziosi legali, bensì si inseriscano meccanismi di “autodefinizioni preventive” delle sanzioni per mancati raggiungimenti degli standard qualitativi. Nessuno discuterebbe dell’onerosità di una sanzione comminata su criteri e livelli precedentemente autodenunciati.

Che fare, infine, per eliminate il persistente ricorso a manager polticizzati, poco professionalizzati e inesperti? Consiglieri privi di skills adeguati, che sovente occupano posti di rilievo nei CdA di aziende in-house? Si pubblichino I loro CV su Internet e si calibrino i compensi non su quelli dei Sindaci, ma sui soli risultati raggiunti.

I tempi? Una linea di riforme di tale caratterizzazione sarebbe implementabile nel giro di pochi mesi e, col nuovo anno, vedremo soggetti andare a gara senza alcuna possibilità di difesa per i pessimi risultati in termini di efficienza relativa.

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