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ExxonMobil lascia la Russia, fuga delle major dell’energia da Mosca: ecco cosa succede

Il colosso petrolifero ExxonMobil lascia la Russia: cresce il numero delle compagnie energetiche che limitano, sospendono o escono dalle attività commerciali con Mosca

ExxonMobil lascia la Russia, fuga delle major dell’energia da Mosca: ecco cosa succede

Anche ExxonMobil lascia la Russia. Prima Bp, Equinr e Shell e ora anche il gruppo petrolifero statunitense taglia i legami con Mosca. Si allunga di giorno in giorno la lista delle aziende che prendono posizione contro l’invasione dell’ucraina. Secondo quanto riportato dall’Ansa anche Eni sarebbe pronta a dire addio alla Russia. Ma non solo i colossi energetici, è in scena un vero e proprio esodo di massa dalle attività commerciali in Russia: Apple e Google, Maersk, Volvo così come le case cinematografiche abbandonano progetti, investimenti, joint venture decennali per chiudere la morsa intorno a Putin.

ExxonMobil lascia la Russia dopo decenni di legami stretti

Il gigante americano del petrolio e del gas ExxonMobil ha annunciato che non investirà più nel Paese e che si ritirerà dal suo ultimo grande progetto di produzione di petrolio e gas in Russia: lo Sakhalin-1 nell’Estremo Oriente russo. “Deploriamo l’azione militare della Russia che viola l’integrità territoriale dell’Ucraina e mette in pericolo la sua gente”, ha detto la società in una dichiarazione che si confronterà con gli analisti di Wall Street nella giornata di oggi, mercoledì 2 marzo.

Exxon ha una lunga storia di stretti legami con la Russia con gli interessi della società che a volte divergono dalle priorità di politica estera degli Usa. Ma l’impronta di Exxon in Russia si è ridotta negli ultimi anni, soprattutto per via delle sanzioni statunitensi imposte alla Russia dopo l’invasione della Crimea nel 2014.

Tuttavia, il colosso petrolifero americano ha continuato a gestire il progetto di petrolio e gas Sakhalin-1 dal 1995, per conto di un consorzio composto da filiali della società russa Rosneft, una società indiana e una giapponese, che si trova nell’estremo est del Paese, e ne possiede 30%. Un’operazione tecnologicamente difficile che ha reso decine di miliardi di dollari al governo russo.

Dopo che Exxon aveva già iniziato ad evacuare i propri dipendenti statunitensi dalla Russia, ora dice che sta “iniziando il processo per interrompere le operazioni e sviluppare i passi per uscire dal progetto”, mettendo a rischio il destino di un impianto di gas naturale multimiliardario (Lng).

Poiché è l’operatore del progetto, e non solo un investitore, la compagnia dice che il processo “dovrà essere strettamente coordinato con i co-venturers per assicurare che sia eseguito in modo sicuro”.

“L’attività russa di Exxon è relativamente piccola nel contesto della sua più ampia impresa, quindi non ha lo stesso significato che ha per BP o TotalEnergies, se dovesse abbandonare le sue attività russe”, ha detto Anish Kapadia, direttore del ricercatore di energia e miniere di Pallissy Advisors.

Nel suo ultimo report annuale ExxonMobil valutava i propri attivi in Russia circa 4 miliardi di dollari (su un totale di 217 miliardi).

Bp, Equin, Shell e TotalEnergies: i big dell’energia che fuggono da Mosca

Il 27 febbraio il colosso britannico Bp ha annunciato l’uscita dalla sua partecipazione nella più grande compagnia russa del settore petrolifero, Rosneft, di cui Bp deteneva una quota del 19,75%, il cui valore è stato stimato a 14 miliardi di dollari alla fine dello scorso anno. Una decisione accompagnata anche dalle dimissioni “con effetto immediato” dell’amministratore delegato Bernard Looney dal consiglio di Rosneft.

Sulla stessa linea anche la norvegese Equinor (ex Statoil) che il 28 febbraio ha deciso di interrompere i nuovi investimenti in Russia e di avviare un processo di uscita dalle joint venture in essere con le aziende russe.

Nello stesso giorno anche la britannica Shell ha annunciato la decisione di abbandonare le sue joint venture con Gazprom e le attività correlate (per un valore di 3 miliardi di dollari); inclusa la sua partecipazione al 27,5% nell’impianto di gas naturale liquefatto Sakhalin-II e quella al 50% nella Salym Petroleum Development e nell’impresa energetica di Gydan. La multinazionale britannica ha anche espresso l’intenzione di interrompere il suo coinvolgimento nel progetto del gasdotto Nord Stream 2, in cui deteien una quota del 10% del valore di 1 miliardo di dollari.

Poi è stata la volta della francese TotalEnergies, che il primo marzo ha annunciato lo stop alla fornitura di capitale per nuovi progetti in Russia. La società transalpina si è detta pronta “a sostenere le sanzioni messe in atto dall’Europa” e che le attuerà “indipendentemente dalle conseguenze – in fase di valutazione – sulle sue attività in Russia”.

Anche Eni vuole rompere con la Russia

La presenza del cane a 6 zampe in Russia risale agli anni ’60 del secolo scorso, quando Eni iniziò a importare il primo greggio in Italia, da allora la rete dei suoi investimenti e di accordi con società russe si è estesa molto. Anche se la sua presenza si era già congelata per le sanzioni internazionali imposte a partire dal 2014.

Nella serata di ieri, l’Ansa ha riportato la dichiarazione di un portavoce del gruppo, secondo cui, “per quanto riguarda la partecipazione congiunta e paritaria con Gazprom nel gasdotto Blue Stream, che collega la Russia alla Turchia attraverso il Mar Nero, Eni intende procedere alla cessione della propria quota (il 50%)”.

Inoltre, la partecipata pubblica italiana è anche partner di Rosneft per la realizzazione di progetti esplorativi nel Mare di Barents russo e nel Mar Nero. E fornisce anche gas all’ingrosso direttamente in Russia, per la precisione 2,47 miliardi di metri cubi nel 2020.

Eni è poi attiva pure nel mercato russo al dettaglio, con una stazione di servizio sulla strada di collegamento fra l’aeroporto Sheremetyevo di Mosca e il centro della città. E Opera nel mercato all’ingrosso dei lubrificanti attraverso la controllata Eni Nefto. E così anche Eni, come ExxonMobil lascia la Russia.

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