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Sole 24 Ore, da Boccia serve molto più coraggio

Per salvare il prestigioso quotidiano occorre una radicale discontinuità con il recente passato e l’archiviazione della dottrina D’Amato – Il principale giornale economico non può essere un house organ di Confindustria ma deve tornare ad essere un’autorevole fonte di informazione per l’intera economia italiana.

Sole 24 Ore, da Boccia serve molto più coraggio

E’ curioso che il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia abbia affermato che la crisi de Il Sole 24 Ore può essere superata tornando ad una corretta gestione aziendale, cioè guardando i bilanci e, come succede in tutte le aziende che perdono, cercando di tappare i buchi sia con tagli dei costi (da lacrime e sangue) sia con lo sviluppo di nuovi prodotti capaci di portare ad un aumento del fatturato. Curioso perché sembra strano che una associazione di imprenditori non abbia saputo leggere i bilanci e non abbia visto l’avvicinarsi di una crisi che pure era evidente anche agli occhi di osservatori non esperti.

Boccia è presidente di Confindustria da pochi mesi e quindi non può in nessun caso essere ritenuto responsabile del crack della prestigiosa casa editrice. Tuttavia la sua affermazione per essere sensata, non può essere presa nel suo significato letterale. Essa sottintente la necessità di mutare radicalmente l’atteggiamento politico adottato da almeno una decina di anni, da Confindustria nei confronti del Sole. Dire che bisogna considerare il Sole come un’azienda significa che occorre accantonare quella nefasta idea che aveva portato la Confindustria a considerare il giornale come uno “strumento” della sua azione politica, una specie di organo di propaganda delle posizioni confindustriali nei confronti del Governo e delle altre forze sociali. Insomma un bastone agitato sul capo degli oppositori in modo da aprire spazi di negoziazione per rendere più agevole una trattativa volta al raggiungimento degli obiettivi ritenuti prioritari dagli industriali. Ma questo, è chiaro, non ha nulla a che fare con una corretta e puntuale qualità dell’informazione.

Ma poi nell’attuazione pratica di questo principio, già di per sé sbagliato, si è fatto ancora peggio. Infatti molti big di Confindustria hanno utilizzato questo signoraggio sul giornale per coprire gli interessi particolari delle proprie aziende o delle associazioni a cui aderivano, o per reclamare “visibilità” personale o della loro impresa. Insomma sono stati via via ristretti gli spazi di autonomia della testata giornalistica, finendo per intaccarne la credibilità che ora, con l’emergere di questa incredibile vicenda finanziaria, rischia di ricevere un colpo mortale.

Per chi conosce la storia del Sole degli ultimi quarant’anni le cause dell’attuale crisi appaiono di tutta evidenza. ll giornale iniziò l’ascesa verso i vertici dell’ informazione italiana a partire dalla metà degli anni ’70 quando l’avv. Agnelli (allora presidente di Confindustria) affidò al giornale il compito di diventare una voce “autorevole ed autonoma” dell’intera economia italiana per spingere verso un rafforzamento del mercato e rafforzare il pluralismo degli attori che vi operavano. Poiché nessuna economia di mercato può funzionare senza trasparenza e senza una informazione credibile ed affidabile, la Confindustria si doveva prendere l’alto merito di lanciare e sostenere fino a quando sarebbe stato necessario, uno strumento d’informazione che doveva contribuire a portare il paese alla pari con quelli dove il mercato era più ampio e trasparente.

Ma con l’arrivo di D’Amato alla presidenza la Confindustria cambiò ispirazione. Il Sole doveva diventare ( insieme alla Luiss) uno strumento in mano al presidente pro-tempore per sviluppare la sua politica. Da questa affermazione che può sembrare astratta, partirono alcune conseguenze pratiche che via via intaccarono l’originaria ispirazione del giornale. Si affermò lo spoils system, mentre i direttori venivano indotti a scegliere i collaboratori sulla base di un manuale “Cencelli” confindustriale. Enzo Cipolletta provò a interrompere questa deriva ma venne allontanato dalla presidenza del Sole in poco tempo.

Questa è la storia. Se ne deduce che per uscire veramente dal buco nero in cui si è cacciato, il giornale ha bisogno di una totale discontinuità, cioè di rompere con la dottrina D’Amato e tornare all’ispirazione originaria di Agnelli, naturalmente aggiornata ai tempi e cioè tenendo conto della globalizzazione, della moneta unica e dell’ Europa da costruire (o ricostruire ). Quell’affermazione di Boccia potrebbe aprire la strada ad un radicale cambio di passo. Tuttavia altre mosse sembrano smentire questa intenzione. Il nuovo Consiglio non è totalmente innovativo e soprattutto non è chiaro quale legame esso abbia con gli eventuali nuovi finanziatori (dato che un aumento di capitale è sicuramente indispensabile) . Lo stesso nuovo AD Franco Moscetti, sarà pure un manager prestigioso, ma è sicuramente digiuno di problemi dell’ editoria ed in particolare delle specificità dei quotidiani. Come possa impostare una strategia di profonda revisione e rilancio dei prodotti se non sa come funziona concretamente la macchina di un giornale e se non conosce le particolarità dei forti poteri del direttore che ne fanno un alter ego e non un dipendente del capo azienda, non risulta chiaro.

Tutti si augurano che una svolta positiva per il Sole possa avvenire presto, e non solo per la salvaguardia della professionalità dei tanti valenti colleghi giornalisti che vi lavorano, ma perché l’Italia ha bisogno, se vuole crescere, di un autorevole organo di informazione economica. Ma certo ci vuole da parte dell’editore più coraggio e forse una più chiara ed innovativa visione della situazione e dei problemi da affrontare, che non sono solo finanziari, ma soprattutto culturali e di alta strategia politica.

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