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Fed e Bce, la bassa inflazione sconvolge i paradigmi

Da “IL ROSSO E IL NERO” di ALESSANDRO FUGNOLI, strategist di Kairos – Il Qe non è bastato a far innalzare l’inflazione e le banche centrali si domandano se a determinare la dinamica dei prezzi e dei salari non ci sia qualcosa di più profondo della politica monetaria: quanto contano realmente la tecnologia e la demografia?

Fed e Bce, la bassa inflazione sconvolge i paradigmi

Agosto ha segnato la fine della bonaccia. Le giornate mortalmente noiose in cui tutto restava immobile hanno lasciato il posto a mercati più normali e più mossi. Da agosto a ottobre si dispiega storicamente la stagione delle correzioni, talvolta anche dei crash. I pessimisti di ogni credo e colore rompono il loro corrucciato silenzio e levano al cielo il loro grido di dolore, profetizzando sventure. Gli ottimisti si ritirano dietro le quinte ad aspettare tempi migliori.

Essendo a tutti noto che questa è stagione di penitenza, ogni volta che i mercati scendono i potenziali compratori temono che la discesa sia l’inizio di una correzione e che la correzione sia l’inizio di un bear market e per questo centellinano gli ordini di acquisto o li ripongono nel cassetto. È così che la profezia di ribasso si autoavvera. Il contrario avviene tra novembre e dicembre. Questo agosto ha finora rispettato la tradizione che lo vuole mese negativo, ma il danno, modesto, è al momento limitato ad America e Giappone.

Gli altri mercati, Europa, Cina e paesi emergenti, sono in positivo. Tranquilli e positivi sono anche i bond. Questi risultati sono tanto più notevoli se si pensa che per alcuni giorni è sembrata concreta la possibilità di un missile nucleare nordcoreano lanciato in acque territoriali americane. La resilienza dei mercati a eventi geopolitici di questa magnitudine è la conferma che la variabile dominante, agli occhi degli investitori, non è politica ma monetaria. Finché la politica monetaria viene percepita come favorevole, o comunque non ostile, il resto non conta.

Per questo in queste ore c’è grande attesa per il tradizionale seminario annuale che la Fed di Kansas City organizza tra le montagne di Jackson Hole. È un incontro dove i banchieri centrali di tutto il mondo discutono di strategia a medio e lungo termine. In passato è stato scelto per lanciare o testare progetti di ampio respiro come il Quantitative easing, i tassi negativi o l’Exit strategy e questa volta potrebbe gettare luce su questioni di policy importanti come la riduzione del bilancio della Fed (Quantitative tightening) o il tapering da parte della Bce.

La nostra impressione è che queste attese rimarranno in larga parte deluse. I due programmi, Qt e tapering, sono già stati decisi e quello che rimane da sapere è solo la data di partenza del primo (dicembre 2017 o inizio 2018) e la data di conclusione del secondo (settembre o dicembre 2018). La scelta avrà la sua importanza per i trader e per l’andamento dei mercati nelle prossime settimane, ma sarà irrilevante sul piano strategico.

Al di la di questo (e di una modesta ulteriore correzione del dollaro nei prossimi mesi) i banchieri centrali non sono in grado di sbilanciarsi perché sono a un punto morto. Che al nono anno di crescita l’inflazione abbia preso a scendere, invece che a salire, sconvolge infatti alla radice tutti i modelli sui quali sono abituati a ragionare. Che questo accada dopo che il Quantitative easing di questi anni abbia aumentato la base monetaria globale di quasi 15 trilioni (con le banche centrali che ormai detengono il 20 per cento del debito pubblico) è ancora più sconvolgente.

Ai banchieri centrali comincia a essere chiaro che a determinare l’inflazione, i tassi reali e, di conseguenza, il livello degli asset finanziari, ci deve essere qualcosa di ancora più profondo e strutturale dell’output gap (che a questo punto nessuno sa bene che cosa sia e, se davvero esiste in natura, come vada misurato) e della politica monetaria che da questo prende le mosse. Fino ad oggi ha prevalso l’idea
che tecnologia e demografia siano le forze che hanno tenuto bassi inflazione e tassi reali e spinto quindi al rialzo borse e bond. La tecnologia paralizza la curva di Phillips perché toglie competitività al lavoro umano e ne abbassa il valore di mercato.

La demografia, dal canto suo, con l’invecchiamento della popolazione e il conseguente vacillare dello stato assistenziale, induce a risparmiare di più per la vecchiaia. L’eccesso di risparmio rispetto alla domanda di finanziamento per investimenti produttivi causa una discesa strutturale del tasso d’interesse reale. Inflazione salariale quasi inesistente e tassi reali negativi, a loro volta, spingono al rialzo gli asset finanziari.

Uno studio dell’ottobre scorso di Etienne Gagnon, influente capo della sezione studi monetari della Fed, spinge lo sguardo fino al 2080 e arriva alla conclusione che la demografia, per quanto riguarda gli Stati Uniti, continuerà a deprimere la crescita economica e, ancora di più, il livello dei tassi reali. Attenzione, però, perché una tesi in completo contrasto con quella di Gagnon è stata espressa da Charles Goodhart (ex Bank of England, oggi Lse) in uno stimolante e provocatorio studio pubblicato nei giorni scorsi dalla Banca dei Regolamenti Internazionali.

È sbagliato, dice Goodhart, ragionare di mercato del lavoro su base nazionale quando in realtà è globale. È in questo mondo globalizzato che il lavoro negli ultimi 30 anni è stato straordinariamente abbondante per l’elevata crescita demografica, per i baby-boomers tutti in età da lavoro e per l’arrivo sul mercato di quasi un miliardo di cinesi e russi. Questa abbondanza si trasformerà in scarsità nei prossimi decenni, quando i baby boomers andranno in pensione e quando le uniche aree che godranno di una crescita della loro forza lavoro saranno l’India e l’Africa (dotate comunque di un capitale umano non paragonabile, per qualità, a quello cinese dei tre ultimi decenni).

Per queste ragioni l’inflazione salariale riprenderà proprio mentre il risparmio disponibile per gli investimenti produttivi calerà, determinando un aumento dei tassi reali, che a sua volta porterà a uno sgonfiamento degli asset finanziari. Il dibattito è appena partito ed è presto per dire chi può avere ragione. Quello che ci preme dire è che, per quanto possa apparire solido, è incauto impostare ogni strategia sul solo terreno della politica monetaria perché sotto di questa si muovono zolle tettoniche ancora più potenti che ancora non è chiaro in che direzione ci porteranno.

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